7. Il veliero
di Murcutt
Questo "Documento di architettura",
dedicato a un progettista austrialiano sino a ieri quasi sconosciuto in
Italia, si apre con uno stimolante viatico: "Il progetto è un gioco
di scacchi, sostiene Glenn Murcutt, la serenità della leggerezza
è il fine di ciascuna partita. Esili come farfalle, le coperture
delle costruzioni dell’architetto austrialiano poggiano su montanti esili,
si avvolgono di strutture minime, coprono spazi trasparenti. La permeabilità
è cifra di questi spazi. La continuità è la soluzione
che propongono al rapporto interno-esterno: astratte come vele protese,
le architetture di Murcutt si disegnano improvvisamente nel paesaggio;
forti della loro diversità, instaurano con la natura un rapporto
cordiale e amichevole. Capace di coniugare con lirica essenzialità
le suggestioni derivate dalla cultura aborigena con la lezione appresa
dai grandi maestri dell’architettura contemporanea." Questo breve testo
(anonimo, come deve essere un risvolto di copertina) tratteggia con sicurezza
ispirata il centro della progettazione di Murcutt. Nato a Londra nel 1936,
autore di una quarantina di progetti per lo più di case unifamiliari,
Murcutt studia le sue opere sino al dettaglio. Usa materiali semplici ed
economici (elementi industrializzati, lamiere, metallo, legno) che compone
con sempre maggiore sapienza. Negli ultimi anni riceve prestigiosi riconoscimenti
per il suo lavoro: la medaglia d’oro dell’Istituto degli architetti del
suo paese e, a riprova di un non mai sopito legame tra i paesi nordici
e l’Australia, la settima medaglia Alvar Aalto conferitagli a Helsinky
nel 1992.
Il libro è dovuto al lavoro di ricerca di Françoise Fromonot, redattrice di "Architecture d’Aujourd’hui" architetto e docente, che in seguito a una borsa di studio che le ha consentito la scoperta di Murcutt ha sistematizzato l’opera di questo necessario architetto. Necessario perché ormai appare chiaro (a molti) che le domande fondamentali cui l’architettura è chiamata a rispondere sono le medesime a tutte le latitudini e in tutte le condizioni. Come articolare gli spazi della vita in un flusso aperto e dinamico che gli edifici conformano insieme alla natura? Come risolvere un programma sempre variabile inserendovi nuovi elementi di stimolo alla socialità e alla vita delle persone? Come pensare, da subito, alla crescita futura dell’organismo? Come costruire architetture consapevoli del clima, della luce, dell’aria, attraverso scelte tecniche strutturalmente legate al progetto (non artificiali rattoppi che risolvendo alcuni problemi ne creano altri, e più grandi). Come dare espressione, esistenza, presenza d’arte a queste esigenze?
In situazioni estreme, climi duri, scarsezza di materiali, programmi spesso ridotti all’essenziale, queste domande appaiono, semmai, più nitide, più forti: e le risposte, come in alcune opere di Murcutt, assolutamente persuasive.
Nella Casa Marie Short (1974-1980)
l’architetto dimostra come un semplice schema organizzativo (due fasce
di costruzioni slittate l’una rispetto all’altra; legate e a un tempo distanziate
da un percorso interstiziale) possano essere ampliate nel tempo occupando
le terrazze e i portici o estendendo la costruzione con le stesse scacchiere
di spazi con permeabilità diversa con l’esterno (stanze, patii,
logge). Nella casa Marika-Alderton, collocata al nord dello sconfinato
continente, studia per un artista aborigeno una abitazione che filtra,
diffonde, modula la luce e gli spazi con pannelli in legno a trama fitta
che si aprono e si chiudono per tutta l’altezza della parete. A secondo
della posizione dei pannelli, i vari ambienti si trasformano nell’uso.
L’aria, la luce e l’ombra, i flussi della vita cambiano nelle varie ore
della giornata e con essi la forma dell’edificio-veliero.
Anche Murcutt dovrebbe essere, infatti,
un amante della barca a vela. La metafora nautica è utile, come
nell’Opera di Sidney del danese Jørn Utzon, o nella barca-studio
Verona di Ralph Erskine. Anche Murcutt sembra disegnare architetture che
navigano. Sollevate leggermente dal terreno, si aprono e si chiudono, innalzano
alberature movibili e leggere all’aria. A volte questi delicati navigli
attraccano al molo. È quanto avviene a Casa Simpson-Lee, forse la
sua opera più bella, dove il programma si divide in due parti (casa
e nucleo per ospiti) distanziate e ruotate sulla curva di livello dello
scosceso pendio. Un delicato percorso rialzato di cinquanta centimetri
da terra lega le due costruzioni, integralmente in lamiera, delimita una
vasca d’acqua e cattura il paesaggio.
Il lettore troverà molte altre opere interessanti in questo libro: un ospedale, organizzato come un villaggio su palafitte, poverissimo nei materiali quanto ricco di idee, due musei, di cui quello lungo e affusolato per Broken Hill, di elegante asciuttezza, alcune case cittadine in cui i temi di Murcutt si integrano alle preesistenze costruite, e anche una abitazione lussuosa, Casa Pratt, che potrebbe essere assimilata a un certo gusto per l’esposizione (high-tech) dei meccanismi costruttivi e dei loro giunti.
Il volume ha grandi pregi e alcuni
difetti redazionali. Il contributo di maggiore interesse è nelle
schede dei progetti. L’autrice, che ne ha evidentemente a lungo discusso
con l’architetto, scrive con precisione e intelligenza puntualizzando problemi
e specificità delle soluzioni. Inoltre foto e grafici sono assolutamente
ineccepibili, sempre chiarissimi, a volte di notevole qualità tecnica
e l’uso del colore dà una quantità di informazioni veramente
utili alla decifrazione dei progetti.
Fromonot divide il saggio introduttivo al volume in due capitoli. Il primo, Contesto e influenze, risente di alcune pesantezze scolastiche (soprattutto nelle troppe volte ripetute origini alla Mies e alla Chareau del lavoro di Murcutt). L’indagine sulla situazione culturale australiana degli anni Sessanta e Settanta, pur se evidentemente una ricerca ancora allo stadio iniziale, è più interessante. Il secondo capitolo, Principi e temi, analizza con acutezza il progettare di Murcutt sia dal punto di vista dell’organizzazione distributiva che nell’utilizzo "ecologico" dell’aria, dell’acqua, della luce. "Tocca questa terra con leggerezza" sembra essere il miglior riassunto al suo lavoro. Un antico proverbio aborigeno.
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Pubblicato originariamente su
Antonino Saggio
GLENN MURCUTT di F. FROMONOT
Recensione- Domus, n. 779, febbraio 1996 (p.
111-112)
Il libro cui si fa riferimento nell'articolo è
Françoise Fromonot, Glenn
Murcutt opere e progetti
Electa, Milano 1994 pp. 162
Un Link
http://www.fbe.unsw.edu.au/Subjects/Arch/5203/95-s1/pajor/assign4/glenn1.htm
In questo link una serie di opere con alcune foto
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