45. Bruno
Zevi
"Dobbiamo lottare per le idee, non per le persone che
hanno importanza relativa. "
Forse questa frase, può essere un inizio
per riflettere sulla figura di Bruno Zevi, scomparso improvvisamente a
Roma la mattina del 9 gennaio 2000. Avrebbe compiuto 82 anni dopo pochi
giorni.
Come Carlo Azeglio Ciampi è stato membro del Partito
d'azione e ha cercato una via di rigore, di onestà, di coraggio
"individuale". Al di là delle ideologie, al di là dei partiti,
al di là delle fedi laiche o religiose è l'integrità
e il coraggio dell'individuo la vera etica. Il motore di Zevi per più
di sessanta anni di accanito lavoro è stata la costruzione di una
coscienza di libertà, una conquista che si doveva compiere costantemente,
giorno per giorno. E sempre rinnovare con fermezza. Ecco perché,
almeno ai più vicini, Zevi ricordava le idee di Aldo Capitini, il
pedagogo e filosofo di cui si è celebrato il centenario della
nascita.
Zevi quando doveva tracciare un profilo di
sé, anche se solo di poche righe, scriveva sempre "seguace di Carlo
Rosselli e membro del Partito d'azione". Se aveva più spazio ricordava
la direzione in America dei Quaderni Italiani, e la partecipazione
da Londra all'organizzazione della resistenza.
Quando nel 44 tornò in Italia, era stato costretto
a lasciarla nel 1939 per le leggi razziali, affiancò all'attività
politica quella culturale. In America, dove si era laureato a Harvard con
il rispettato ma mai amato Walter Gropius, aveva scoperto con Wright il
valore della libertà dell'architettura. L'architettura dà
significato alla società. Una società democratica e libera
deve avere un'architettura altrettanto aperta, libera, creativa. L'una
cosa aiuta l'altra. Non c'è valore civile senza architettura libera
e non ci può essere vera architettura se non come anelito di libertà.
Ecco perché tra le cose che sono state scritte
su Zevi, una delle più giuste è la menzione alla sua
elezione a Fellow dell'American Institute of Architects "Appassionato e
tenace assertore dell'integrazione tra valori democratici e concezioni
architettoniche, egli ha rilevato come gli edifici riflettano l'anima di
una società".
Con Zevi la cultura italiana perde un intellettuale che
appartiene alla sua tradizione più nobile e più alta. Quella
che non vede mai il fare disciplinare come separato ma che al contrario
sente che qualunque aspetto del proprio lavoro è immerso integralmente
nella storia e nella società. Per Zevi parlare e studiare l'architettura
(o l'arte o la musica o la scienza o il pensiero) non era mai scisso dalla
sua azione di uomo, dai suoi valori di cittadino.
Nei primi anni della Ricostruzione italiana il suo contributo
è travolgente. Fonda l'Apao (Associazione per l'architettura organica)
cenacolo di lotte e dibattiti, di speranze politiche e architettoniche
che si sono travasate nella ricostruzione italiana. Capeggia l'azione dei
giovani architetti romani per fermare la costruzione "archi e colonne"
della testata della Stazione Termini e riesce a far bandire un concorso
in cui si afferma una soluzione tra le più belle e vibranti della
nostra architettura del dopoguerra, contemporaneamente con Mario Ridolfi
e Pier Luigi Nervi partecipa alla stesura del Manuale dell'Architetto,
indispensabile strumento di aggiornamento professionale per i progettisti
italiani. Co-dirige "Metron", che vedrà importanti scritti dei più
anziani Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà, nel 1955 fonda "L'architettura"
e tiene una rubrica su "L'Espresso" da cui affianca settimanalmente le
battaglie architettoniche e urbanistiche che conduce anche attraverso l'InArch
(Istituto nazionale di architettura) e l'Inu (Istituto nazionale
di urbanistica) di Adriano Olivetti.
Via via negli anni la sua azione civile punteggia l'azione
critica e didattica.
Contro la legge truffa nel 1953, a fianco della contestazione
studentesca nel '68 ma anche attento, sino al rischio personale, nel non
svendere la cultura. È tra i primi a sentire il bisogno di usare
la libertà dell'etere come strumento di comunicazione delle idee
e fonda nel 1976 Teleroma 56. Si incontra e poi scontra con il Partito
socialista all'inizio degli anni Ottanta, diventa presidente e deputato
radicale, ma quando deve scegliere, posto in minoranza sulla adesione al
raggruppamento per il Parlamento europeo, dice l'ennesimo "No".
Zevi è stato anche fermamente un uomo "contro",
un uomo dei no. Formatosi negli anni dell'antifascismo conosceva se stesso
solo contro la barbarie, contro la guerra, contro la dittatura, contro
l'olocausto, contro l'architettura come espressione di sistemi, di ideologie,
di apparati.
Questi tratti fondativi della sua personalità,
sono noti agli architetti, ai lettori, agli studenti che lo hanno avuto
per trent'anni professore prima allo Iuav di Venezia e poi a La Sapienza
di Roma.
Del suo lavoro di studioso vanno ricordate almeno cinque
tappe fondamentali.
A ventisette anni ha rilevato in un paese chiuso in se
stesso e sconfitto, la lezione di Wright. Verso un'architettura organica
(1945) profetizzava una rivoluzione nella concezione del rapporto architettura-natura-uomo
che solo Edoardo Persico aveva intuito. La seconda acquisizione è
contenuta in Saper veder l'architettura (1948) tradotto in venti e più
lingue. L'architettura è ricondotta al suo centro: la creazione
dello spazio, la capacità di plasmare il vuoto. L'idea era già
presente negli scritti di Alois Riegl dell'inizio del secolo, ma è
Zevi che ha fatto dello spazio la categoria interpretativa fondamentale
della critica architettonica.
A trentadue anni dà alle stampe la prima Storia
dell'architettura moderna (1950, ampliata nel 1975 e poi nel 1996). La
chiave di lettura è anti Giedion: l'architettura moderna non è
solo la linea cubismo-razionalismo, ma anche personalità divergenti:
Olbrich o Gaudì, Mendelsohn o Scharoun e, "nella scia dell'impressionismo",
Wright. La ricchezza delle informazioni, l'analisi delle opere rivolta
al processo formativo, l'acutezza del giudizio hanno formato generazioni
di architetti. A questa opera seguono approfondimenti sul Neoplasticismo,
su Mendelsohn, su Terragni, su Wright.
Negli anni Sessanta si afferma la quarta conquista. Sulla
scia degli studi su Biagio Rossetti, Michelangelo, Palladio, Borromini
(e poi Brunelleschi), Zevi compie una lettura mirata del passato che viene
interpretato con le stesse categorie spaziali che ha scoperto nel contemporaneo.
La formula è quella della critica operativa, ma con più precisione
si tratta di critica storica: solo attraverso la conoscenza storica "si
può dimostrare che Michelangelo e Borromini hanno da offrire più
di Gropius o Aalto perché, nel loro contesto linguistico, furono
più coraggiosi e inventivi."
Nel 1973, l'ultima tappa. Il linguaggio moderno dell'architettura
condensa tutto ciò in cui crede. Un anticodice stabilisce una serie
di negazioni (no al monumentalismo, no alla simmetria) e i principi, non
le regole, delle sette invarianti. Inventario di contenuti e funzioni,
Asimmetria e dissonanze, Tridimensionalità anti-prospettica, Decomposizione
quadri-dimensionale, Strutture in aggetto e a membrana, Spazio temporalizzato,
Reintegrazione di edificio città e territorio. Un codice moderno
che comincia dal paleolitico.
Il suo ultimo volume si chiama Controstoria e Storia
dell'architettura (prima in fascicoli a mille lire, e dal 1998 riccamente
illustrato in tre volumi in cofanetto): un lavoro durato oltre "Trent'anni
per produrre una Controstoria dell'architettura in Italia, un 'De Sanctis
dell'urbatettura' (urbanistica + architettura)". Critica e architettura
sono positive solo se negano: combattono consuetudini, norme e regole per
afermare il valore originale della ricerca artistica. Il progetto di architettura,
di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e bellezza,
si deve spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi umani
e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica dello
spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado zero.
Un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza", anzi, non esiste: è
estranea a qualsiasi modernità. Il volume si chiude con questa frase:
"L'ultimo valore consegnato al terzo millennio attiene
al rapporto tra architettura moderna e democrazia liberal-socialista. Su
questo terreno vibra la testimonianza di Terragni, Persico e Pagano, per
i quali la modernità - quella che fa della crisi un valore, una
morale contraddittoria, dice Baudrillard, e suscita un'estetica di rottura
- era sinonimo di vita etica e civile. L'architettura è il termometro
e la cartina di tornasole delle giustizia e della libertà radicate
in un consorzio sociale. Decostruisce le istituzioni omogenee del potere,
della censura, dello sfascio premeditato, e progetta scenari organici.
Fuori di una modernità impegnata, sofferta e disturbata non c'è
poesia architettonica".
La modernità non è un valore temporalizzabile,
è uno stato, una tensione, una coscienza, che "fa della crisi un
valore". È questa idea di modernità credo una delle chiavi
fondamentali al suo pensiero.
***
"No all'architettura della repressione, classicista barocca
dialettale. Si all'architettura della libertà, rischiosa antidolatrica
creativa". Il volume della Marsilio Zevi Su Zevi e quello della
Etas Linguaggi dell'architettura contemporaneaapprofondiscono il
credo libertario di Bruno Zevi sotto una duplice angolazione. Oggetto sono
le scelte della vita in un caso, cento progetti del decennio scorso nell'altro.
Il filo che unisce i due volumi? Libertà e antiautoritarismo sono
valori civili quanto principi per l'architettura: le scelte formali, espressive,
spaziali - il "linguaggio" - è chiamato a sviluppare i valori individuali
(funzionali, psicologici, percettivi) contro le imposizioni di sistemi
e regimi. Zevi impersona la componente più peculiare dell'intellettuale
italiano: il rapporto arte-politica, (o se si vuole azione critica-impegno
civile) che dal Risorgimento alla Resistenza, dalla Ricostruzione al Sessantotto
ci segna. L'American institute of architects, eleggendo a suo Honor Fellow,
puntual-mente ha scritto: "Appassionato e tenace assertore dell'integrazione
tra valori democratici e concezioni architettoniche, egli ha rilevato come
gli edifici riflettano l'anima di una società".
Zevi su Zevi, nuova e ampliata edizione del libro della Magma del 1977, è un volume originale già nella struttura. I rischi agiografici sono evitati con una organizzazione in brevi sezioni con lunghe didascalie che accompagnano la documentazione fotografica (soprattutto ritratti con amici e colleghi, ma anche testate di riviste, copertine di libri, pagine di giornali, immagini di allestimenti o di progetti dello stesso autore). Il lettore può, se lo ritiene, scorrere il libro in maniera non sequenziale, ma se si sofferma sul corpo piccolo dei testi scoprirà pagine intense. La vita di Zevi può essere ripercorsa attraverso i grandi intellettuali che lo hanno influenzato: Benedetto Croce, Carlo Rosselli, Ludovico Ragghianti, Lionello Venturi, Giulio Carlo Argan, Lewis Mumford. O attraverso gli uomini politici (Ferruccio Parri e Ugo La Malfa) o i maestri rifiutati (Walter Gropius) e quelli prescelti (Frank Llyod Wright, Erich Mendelsohn, l'ultimo Le Corbusier). Ma decisivi sono anche gli amici e i compagni di strada: Ruggero Zangrandi che organizza a Roma la fronda dei liceali al fascismo (Aldo Natoli, Paolo Bufalini, Mario Alicata), Luigi Piccinato con cui fonda Metron nell'immediato dopoguerra, Mario Ridolfi nella vicenda del Manuale dell'architetto, Giuseppe Samonà nella prima moderna scuola di architettura italiana (l'Iuav di Venezia), Adriano Olivetti nelle battaglie dell'Istituto nazionale di urbanistica e i molti progettisti con cui ha firmato opere: da Giuseppe Vaccaro a Nello Renacco, da Ludovico Quaroni a Vincenzo, Fausto e Lucio Passarelli, da Silvio Radiconcini a Pier Luigi Nervi. Tra le sezioni che scandiscono il libro nelle tappe decisive della vita, si inserisce la trascrizione di relazioni a convegni, prolusioni, interventi alla Camera in buona parte inediti o di difficile reperimento. L'indice dei nomi, la completa bibliografia e alcuni "Fogli perduti" completano il volume che, accanto all'impegno civile, permette di abbracciare il contributo dell'autore allo sviluppo della cultura italiana.
Cinque fondamentali acquisizioni si devono ascrivere alla
sua opera. A ventisette anni ha rilevato in un paese chiuso in se stesso
e sconfitto, la lezione di Wright. Verso un'architettura organica (1945)
scritto sotto le bombe su Londra da un neo laureato a Harvard, profetizzava
una rivoluzione nella concezione del rapporto architettura-natura-uomo
che solo Edoardo Persico aveva intuito. Attorno a questa scoperta, una
sovrumana capacità di lavoro e di iniziativa ha costruito innumerevoli
iniziative tra cui l'Associazione per l'architettura organica, eroico cenacolo
di lotte e dibattiti, di speranze politiche e architettoniche che si sono
travasate nella ricostruzione italiana.
La seconda acquisizione è contenuta in Saper
veder l'architettura (1948) tradotto in quindici lingue. L'architettura
è ricondotta al suo centro: la creazione dello spazio, la capacità
di plasmare il vuoto. L'idea era già presente negli scritti di Alois
Riegl dell'inizio del secolo, ma è Zevi che ha fatto dello spazio
la categoria interpretativa fondamentale della critica architettonica.
Nel 1973 Il linguaggio moderno dell'architettura condensa
tutto ciò in cui crede. Un anticodice stabilisce una serie di negazioni
(no al monumentalismo, no alla simmetria) e i principi, non le regole,
delle sette invarianti. Inventario di contenuti e funzioni, Asimmetria
e dissonanze, Tridimensionalità anti-prospettica, Decomposizione
quadri-dimensionale, Strutture in aggetto e a membrana, Spazio temporalizzato,
Reintegrazione di edificio città e territorio. Un codice moderno
che comincia dal paleolitico.
Architettura organica, Spazio, Oltre Giedion, Critica
storica, Invarianti sono cinque conquiste che basterebbero a riempire altrettante
vite di studio e dimenticano le altre attività come la rivista L'architettura,
la creazione dell'Istituto nazionale di Architettura e del Comitato
internazionale dei critici di architettura, l'attività di "critico
al tavolo da disegno", la direzione della Collana 'L'universale di Architettura'
e poi la più recente militanza parlamentare.
Ma con Il linguaggio moderno dell'architettura
la costruzione è compiuta. Si può diffonderla, battersi volta
per volta, occasione per occasione. Ma l'unica meta autentica che uno studioso
di tale statura può indicarsi è l'azzeramento, la rifondazione.
Le Corbusier supera i suoi cinque punti nella cappella di Ronchamp, Zevi
pur non abbandonando le sue conquiste, comincia a ricercare il "grado zero".
Linguaggi dell'architettura contemporanea (integralmente
tradotto in inglese) è un libro difficile da apprezzare con i criteri
abituali, ma di questa nuova ricerca rappresenta l'ultima tappa. L'architettura
dei nostri giorni viene introdotta da venti opere che dal dopoguerra ai
primi anni Settanta rappresen-tano altrettanti testi: la Sinagoga di Wright,
Ronchamp di le Corbusier, il salone dell'automobile di Morandi, l'Auditorium
di Utzon, la chiesa dell'autostrada di Michelucci (ma anche Safdie, Scarpa,
Tange, Kiukutake, Johansen, Parent, Saarinen, Tange, Van Eyck, Daneri,
Cosenza, Kallmann, Wurster, Albini, Mies, Goff).
Le cento architetture che compongono il corpo del libro
- come le precedenti tutte selezionate dalle migliaia che L'architettura
ha pubblicato - occupano ciascuna dalle due alle quattro pagine. Molte
sono le illustrazioni a colori, ma presenti sono anche i grafici essenziali.
Zevi percorre con il lettore un itinerario sulla base
di quindici nomi di spicco (Aalto, Scharoun, Kahn, Niemeyer, Barragán,
Rudolph, Lasdun, Renaudie, Stirling, Ricci, Soleri, Erickson, Lautner,
Mansfeld, Pei) per poi "scavare nei quindici per afferrare meglio il linguaggio
dei cento" (da Meier a Erskine, da Birkerts a De Carlo, e poi Sacripanti,
Pellegrin, Behnisch, Eisenman, Gehry e molti altri)
Nel breve scritto introduttivo viene citato James Wines.
"Se l'architettura deve sopravvivere, con ogni probabilità dovrà
essere distrutta nella sua definizione attuale". Zevi parla esplicitamente
di Grado Zero della scrittura architettonica, ma il volume segna anche
un Grado Zero della scrittura critica. Le opere e gli architetti non sono
organizzati per aree geografiche, per gerarchia, per tendenze. ma si presentano
come un collage, un caleidoscopio ogni volta ricomponibile dal lettore
attraverso sue proprie categorie interpretative. In questa chiave aperta,
informale, volutamente destrutturata, Linguaggi (al plurale, naturalmente)
si distanzia dalle puntuali letture di molti altri suoi volumi.
Grado zero della scrittura critica vuol dire almeno tre
cose.
Primo. La critica e l'arte usano i medesimi strumenti
con una consapevolezza che mai era stata così forte in precedenza.
L'arte è trasgressiva. Oppone allo stile e alla cultura "una propria
verità negativa " (Filiberto Menna, Critica della critica). Nelle
architetture selezionate conta quindi prioritariamente quel che non vi
è: "gli Aldo Rossi, i Michael Graves, i Ricardo Bofill, i Paolo
Portoghesi". Il rifiuto dell'arte si travasa in quello della critica che
non spiega, non rassicura, non giustifica. Sceglie frammenti da ricomporre.
Gli approfondimenti, se si vuole, possono essere cercati negli altri sessant'anni
di lavoro.
Secondo. Alla scrittura si sostituisce l'immagine. Manfredo
Tafuri lo aveva profetizzato già nel 1968, proprio parlando di critica
operativa. Zevi parla con le fotografie e i disegni.
Terzo. La critica si avventura in una fase difficile,
incerta, nuova. Forse in quella che proprio Barthes chiamava "scrittura
all'indicativo" o amodale, lontana tanto dal linguaggio letterario che
da quello parlato. È una direzione di cui non conosciamo ancora
gli approdi, ma che invita a riflettere e a cercare.
***
Critica e architettura sono positive solo se negano: combattono consuetudini, norme e regole per affermare il valore originale della ricerca artistica. Il progetto di architettura, di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e bellezza, si deve spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi umani e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica dello spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado zero. Un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza", anzi, non esiste: è estranea a qualsiasi modernità. Questa tesi è sottesa nell' ultima grande fatiche di Bruno Zevi. Quel Controstoria e Storia dell'architettura pubblicato prima in otto distinti fascicoli a mille lire, poi in un unico paperpack e infine in una nuova e ampliata edizione composta da tre volumi in cofanetto; la sola che permette di cogliere con evidenza il disegno complessivo dell'opera e la sua piena rilevanza.
I tre volumi - con immagini in buona parte nuove e molto più numerose rispetto alle precedenti edizioni - sono organizzati in diverse sezioni tematiche. Si inizia da una estesa introduzione "Concetti di una controstoria" che abbraccia un arco temporale dalla Preistoria al Duemila. A questa segue "Paesaggi e città" e tra le due un'ampia raccolta di immagini intesa come "Panoramica dell'architettura mondiale" del tutto inedita rispetto alle versioni precedenti. Il secondo volume "Personalità e opere generatrici del linguaggio architettonico" seleziona, illustra e commenta le opere chiave della storia italiana dalle Caverne dei Balzi Rossi a Ventimiglia al Palazzo di Giustizia di Savona. Si tratta di 110 schede in cui si esaminano molte più opere. Infatti ogni scheda è titolata anche attraverso un tema. Viene così creata una costellazione di architetture associabili all'opera base e nel testo è aggredita l'originalità e la forza innovativa di una linea di ricerca. Il terzo volume si compone di due parti: la prima è "Dialetti Architettonici" che si occupa del nesso tra architettura colta e quella spontanea e "Architettura della Modernità" che rilancia i temi dell'architettura italiana nel contesto internazionale da William Morris a Frank Gehry.
È un lavoro - come scrive Zevi - durato "oltre Trent'anni per produrre una Controstoria dell'architettura in Italia, un "De Sanctis dell'urbatettura" (urbanistica + architettura)". Francesco De Sanctis pubblicando nel 1870 la sua Storia della letteratura Italiana ha tentato di fondare sulla letteratura e sulla lingua italiana uno dei pilastri della nuova nazione. Zevi dà corpo nel suo lavoro a una potente intuizione di Cattaneo.
"Ha ragione Carlo Cattaneo - scrive - quando afferma, nel famoso saggio del 1858, che la città è 'l'unico principio per cui possono i trenta secoli delle istorie italiane ridursi a esposizione evidente e continua'. Altrimenti, è il caos: 'senza questo filo ideale, la memoria si smarrisce nel labirinto di conquiste, delle fazioni, delle guerre civili e nell'assidua composizione e scomposizione degli stati; la ragione non può veder lume in una rapida alternativa di potenza e debolezza, di virtù e corruttela, di senno e imbecillità, d'eleganza e barbarie, di opulenza e desolazione: e l'animo ricade contristato e oppresso d'una tetra fatalità'".
Insomma i paesaggi, gli insediamenti, gli ambienti, i monumenti architettonici, i tessuti formano una istoria "evidente e continua" da capire e sondare per rilanciarla come cardine di futuro e di progetto. Per Zevi però si tratta di una Contro storia, visto che i 130 anni da Francesco De Sanctis non passano invano. E' una storia rappresentata dai grandi eretici, dai grandi isolati, dagli individui che si sono sempre opposti ai sistemi, alle regole, alle imposizioni. Daltronde il suo credo etico e politico si basava sulla "sovranità dell'individuo" di Wright e sulla responsabilità individuale di Aldo Capitini.
Il libro è una terrificante disamina dell'architettura di svariate migliaia di anni e lascia ben pochi edifici integri nelle abituali teche storiografiche. Zevi combatte ancora una volta Giedion che non riconosce consapevolezza architettonica alla preistoria. Demolisce poi il tipo del tempio greco e la conseguente mitizzazione neoclassica. Rivendica invece l'eccezione e la trasgressione dell'Eretteo di Filocle ad Atene. Se il mondo greco è scultoreo, quello romano sviluppa in dieci secoli di storia lo spazio interno e il continuum, sino alla Villa Adriana. Nel Medioevo l'autore sottolinea l'imprecisione del Romanico "nelle cavità troppo compresse, nelle simmetrie non rispettate, nei pilastri non a piombo..." e nella scoperta del muro, valido per sé e non più per le ornamentazioni aggiunte.
Dopo il "traballante romanico" e l'affascinate ibrido che si ha al Sud tra la cultura araba e quella normanna, Zevi ricorda il Gotico e soprattutto Arnolfo di Cambio e il suo palazzo Vecchio a Firenze.
Nel Quattrocento, Brunelleschi non è il padre del ritorno all'antico "ma mantiene l'eredità gotica, la poetica delle linee-forza". Il Rinascimento è soprattutto trattatistica, regole, ossessione per una astratta città ideale, fino a che non arriva il non finito di Michelangelo, la plasticità di Palladio e poi gli invasi ellittici di Borromini e di Guarini. Poco si salva della vicenda italiana nei secoli seguenti (Rococò, Illuminismo, Neoclassicismo, Eclettismo). Nel Novecento, il Futurismo non crea architetti, la Metafisica "sfibra ed infetta tutte le arti", Terragni "è il primo personaggio italiano a rientrare nel circuito internazionale".
La storia dell'architettura italiana è dissodata con un impeto travolgente che lascia il lettore quasi annichilito. Quale speranza, quale possibilità di lavoro? Ma, sedimentando, lo shock si decanta, una volontà di superamento riemerge: la critica che combatte lo status quo, non rassicurandoci, ci aiuta.
Per Zevi l'unica storia che vale la pena di scrivere è una storia della modernità, sempre.
La modernità non è un valore temporalizzabile, è uno stato, una tensione che "fa della crisi un valore". Ma perché il libro si chiama Controstoria? Nelle righe biografiche, tra le decine di libri, progetti, cariche e onori l'autore sceglie per definirsi la formulazione "seguace di Carlo Rosselli e membro del Partito d'azione".
Ora, guardando al suo lavoro con una
prospettiva storica (il primo volume è di 55 anni fa) non possiamo
non pensare a come Zevi rappresenti uno dei grandi esponenti di una generazione
di antifascisti che, al di là delle idee di ciascuno, si riconosceva
Contro la barbarie, la guerra, la dittatura, l'olocausto. Zevi è
stato un uomo controcorrente e questo, anche come studioso, rimane il suo
messaggio, le sue idee, la sua Storia: fare uscire i monumenti e il passato
dalla pura filologia, accettarli come vivi, amarli e combatterli come se
d'oggi e, attraverso la critica anche asperrima, agire per una profezia
di architettura e di società.
***
Di Bruno Zevi l'opinione pubblica italiana conosce alcune
azioni clamorose: il pensionamento dall'Università nel 1979 con
quindici anni di anticipo sul limite d'età, la vittoria del
suo simbolo, stridente e acuminato, sul Gandhi di Pannella, le dimissioni
dalla carica di presidente onorario del Partito radicale pur di non sottoscrivere
una scelta per lui blasfema. Aveva rifondato il Partito d'azione e viveva
con partecipazione e preveggenza quanto si muoveva nel mondo. Tra gli architetti
italiani era uno dei pochi con prestigio internazionale. Non è un
caso che il "New York Times" gli ha dedicato un lungo articolo.
In grande sintesi, Zevi ha fatto per l'architettura quello
che Elio Vittorini o Cesare Pavese hanno fatto per la letteratura. Ha portato
cioè, in un paese sconfitto e da ricostruire, il senso della libertà
che aveva imparato ad amare durante il suo forzato soggiorno negli Stati
Uniti. Ma non era l'architettura efficentista dei grattacieli o della produzione
standardizzata dei grandi studi-corporation statunitensi che Zevi propugnava,
ma l'opera di un grande e geniale isolato, di un coraggioso pioniere che
spingeva lo sguardo sugli sconfinati orizzonti della frontiera. Frank Llyod
Wright era il maestro di cui secondo Zevi anche l'Italia aveva bisogno.
In sessanta anni di accanito lavoro, Zevi ha costantemente
divulgato l'ideale di libertà che aveva inalato in quella America
trascendentalista, democratica, roosveltiana: scrivendo moltisssimo, dirigendo
due riviste, impegnandosi settimanalmente su "L'Espresso", fondando
e rifondando una collana di libri tascabili, inventando Associazioni e
Istituti di cultura, influenzando disposizioni legislative per l'ambiente,
l'urbanistica, l'edilizia. Non a caso molti
intellettuali, architetti e studenti, ma anche politici a lui non vicini
(come gli onorevoli Veltroni e Melandri), gli hanno tributato un sincero
e sentito omaggio alle esequie. Sono stati un'ora e mezzo al freddo nel
cimitero del Verano, mentre la sua comunità celebrava la funzione
religiosa nella cappella ebraica.
Zevi, quando doveva fare un autoritratto, anche se solo
di poche righe, scriveva sempre: "seguace di Carlo Rosselli e membro
del Partito d'azione".
Si era formato in quel Lungo viaggio dentro al fascismo
ricordato da Ruggero Zangrandi ed era amico e compagno di liceo anche di
Aldo Natoli, Paolo Bufalini, Mario Alicata. Eppure l'anima errante, ribelle
e libertaria della sua cultura ebraica, lo tenne sempre lontano dall'adesione
al marxismo. Il valore primo e indissolubile per Zevi è sempre stata
la libertà: contro qualunque imposizione, contro qualunque regola,
contro qualunque dogma pur se progressivo.
Studiò a Harvard con Walter Gropius che, tra gli
architetti moderni, fu il principale assertore del lavoro di équipe,
e del rifluire di ogni individualità in un obiettivo comune. Secondo
Gropius per rinnovare il quadro sociale e fare emergere una direzione collettiva
d'effettivo cambiamento si dovevano accettare compromessi con la libertà
individuale. Era, se vogliamo mutare il quadro da quello disciplinare a
quello politico, la stessa posizione di molti intellettuali italiani. Il
pensiero marxista era una così grande liberazione per l'Umanità
che la mancanza di libertà dei paesi del socialismo reale rappresentava
un necessario compromesso.
Insomma se per Giulio Carlo Argan, storico dell'arte
amico di Zevi ma vicino al marxismo, l'architetto di riferimento era proprio
Walter Gropius per Zevi, pur avendolo avuto come maestro, Gropius era da
rifiutare. Il valore per Zevi risiedeva sempre e solo nell'individuo anzi,
come scriveva Frank Llyod Wright, "Nella sovranità dell'individuo".
Questa posizione che in America aveva una lunga storia
(dai pellegrini del Mayflower ai valori cardine del Trascendentalismo ottocentesco
di Thoureau alla Beat generation di Ginzberg o Dylan), nell'italiano Zevi
si coniugava politicamente nell'azionismo di Rosselli e poi di Parri, e
filosoficamente nella lezione di Aldo Capitini, pedagogo di matrice cattolica
di cui è appena stato celebrato il centenario della nascita. Anche
per Zevi, la liberazione dai limiti e dalle chiusure che si oppongono all'individuo
doveva essere perseguita come conquista personale in una ricerca perennemente
rinnovata. Questo percorso "non finito" era d'altronde anche un valore
dell'arte e dell'architettura. Quello che cercava negli aggregati spontanei
e popolari o nei paesaggi secondari della pop art o in un'architettura
che non era mai capolavoro in quanto perfezione raggiunta e imbalsamata,
ma sempre manifestazione di una vita rinnovabile. Aprire ancora più
a fondo la questione della libertà in una disciplina d'impatto generale
come l'architettura, associare il concetto di libertà a una tensione
individuale sino all'eresia è argomento che riguarderà le
discussioni e i seminari che sul suo lavoro sono stati programmati per
i prossimi mesi.
Antonino Saggio
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Sez. Libri: Gianmario Andreani
Antonino Saggio
ZEVI SU ZEVI. LINGUAGGI DELL'ARCHITETTURA CONTEMPORANEA
di B. ZEVI
Domus, n. 761, giugno 1994 (p.95-96).
Metamorfosi
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L'ESSERE CONTRO DI BRUNO ZEVI
Metamorfosi, nuova serie n.1, Marzo 2000
Il Progetto
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Un intellettuale eretico
Il Progetto, n. 7 Luglio 2000
I libri cui si fa riferimento nell'articolo sono
Bruno Zevi
Zevi su Zevi. Architettura come profezia, Marsilio, Venezia 1993
Bruno Zevi
Linguaggi dell'architettura contemporanea, EtasLibri, Milano 1993
Bruno Zevi
Architettura concetti di una Controstoria, Tascabili Newton, Roma 1994
e seg
Bruno Zevi
Controstoria e Storia dell'architettura,
Newton, Roma 1998
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Vedi Anche Intervento a
Reggio Calabria Giugno 2001
Intervento a Roma Marzo 2002