33. La rivoluzione
informatica
Era il 1961, credo, quando nelle costruzioni della Lego
arrivò il mattone-lampadina. Si metteva dentro il soggiorno e, la
sera, illuminava il modellino della casa. Era fantastico, il massimo che
ci si poteva aspettare.
È di ieri la notizia che, dopo anni di ricerca
dei laboratori del Mit di Boston, la Lego ha cominciato a commercializzare
un nuovo tipo di mattoncino. Si tratta di un chip-brick cioè di
un blocchetto di plastica che è anche un circuito integrato e programmabile.
E che permette alle costruzioni di fare cose nuove: muoversi, reagire con
l'ambiente a seconda di quello che succede all'esterno, quasi pensare.
In realtà un avvenimento del genere era stato
già anticipato dal futurologo Alvin Toffler nel 1980. Nel suo La
terza ondata spiegava che all'era agricola, durata parecchie migliaia
di anni, e all'epoca industriale e elettrica, circa centocinquanta, si
era ormai sostituita ufficialmente l'età dell'elettronica, il cui
centro era l'informazione e il suo trattamento.
Toffler non è un architetto e quindi non può
sviluppare sino in fondo un ragionamento che a noi sta a cuore.
Tutti ricordano l'abusatissima dizione "La rivoluzione industriale". Successe tra Settecento e Ottocento quando la forza lavoro per la prima volta venne prodotta artificialmente. L'invenzione della macchina a vapore determinò un cambiamento di portata epocale: spostamenti di popolazione, accumulo di capitali, nascita di città completamente diverse dal passato eccetera.
Ora facciamo un altro ragionamento. Cosa è la modernità
per un artista, per un architetto?. La definizione migliore è del
sociologo francese Jean Baudrillard "modernità è ciò
che trasforma la crisi in valore" .
L'industrialismo è stato per architetti e artisti
una crisi durata più di un secolo. Guardiamo alle ricerche eclettiche,
revivaliste e pasticciate di buona parte dell'Ottocento. Vedremo l'incapacità
di rispondere ai mutamenti imposti al mondo dall'industria. Ma tra
il 1907 delle Demoiselles d'Avignon di Picasso e il 1926 ultimazione
del Bauhaus finalmente prende corpo la risposta. Accade cioè che
l'arte risolve problemi che prima di essere risolti non potevano neanche
essere formulati con chiarezza. La crisi si trasforma in valore e crea
un'estetica di rottura. Chi aveva capito che all'industria e al suo mondo
si potesse rispondere con una architettura che non aveva più schemi
tipologici prefissati, ma una libera e funzionale disposizione dei corpi,
non più strutture lapidee ma punti, non più opacità
ma trasparenza, non più temi aulici ma case, fabbriche,
scuole, quartieri per tutti?.
La novità fu talmente forte, e giusta, e l'edificio
del Bauhaus un simbolo talmente pregnante, che la risposta divenne globale,
internazionale, vincente.
Torniamo a noi. L'unica parola per pensare veramente
a quello che sta succedendo sotto i nostri occhi è rivoluzione
e con più esattezza "Rivoluzione Informatica".
Il problema su cui gli architetti d'avanguardia stanno
lavorando è quindi di peso storico paragonabile a quello di Gropius.
Come possiamo trovare - cioè - un'estetica adeguata alle modifiche
che investono questa nuova era?
Per iniziare a rispondere dobbiamo aggredire il problema
da due punti di vista.
Il primo riguarda le modalità del nostro lavoro
di progettisti, e per questo abbiamo bisogno delle parole simulazione e
modello.
Il secondo riguarda la ricerca di una nuova spazialità
, e parleremo di metafora e più in generale di figure retoriche.
***
Torniamo al mattoncino della Lego. Anche il mondo informatico
è fatto da mattoni, chiamiamoli per intenderci, atomi informativi.
Ora, caratteristica di base dell'elettronica è
che il supporto che contiene l'informazione (numerica, alfabetica, pittorica,
vettoriale, tridimensionale eccetera) non è rigido (pietra,
papiro, pergamena, carta) ma può mutare con la velocità della
luce. I vantaggi sono noti. L'informazione varia continuamente, la parola
essere continuamente affinata, il numero sostituito sempre con un altro,
i pilastri ispessirsi, le piante allungarsi. Tutto può essere archiviato
con facilità, e poi richiamato e di nuovo trasformato. Inoltre per
lavorare si possono utilizzare spazi minuscoli. Possiamo fare a meno di
una sala modelli, di un laboratorio di materiali, di un archivio di brochure
tecniche anche di una segretaria e perfino, se vogliamo esagerare, di una
saletta riunioni. Possiamo fare un tele-conferencing stando alla scrivania
con il computer che assolve mirabilmente a tutto o quasi. E siamo
con Internet nel mondo.
Ma questa serie di vantaggi pratici derivano, a
ben guardare, solo dalla differenza tra un supporto elettrico e immateriale
e uno rigido. Nella realtà questi vantaggi non hanno quasi niente
a che vedere con l'aspetto veramente centrale dell'informatica.
Fritjof Capra, tra i grandi divulgatori delle moderna
scienza, scrive: "Nella teoria dei quanti non si termina mai con 'cose'
ma sempre con interconnessioni. [...] Quando penetriamo dentro la materia,
la natura non ci mostra alcun isolato mattone da costruzione, ma piuttosto
una complicata ragnatela di relazioni esistenti tra le varie parti di un
unificato intero".
Quindi, tanto per cominciare, non illudiamoci. Il problema
non è inserire nelle nostre costruzioni un mattoncino informatizzato
come può fare la Lego con i bambini. Solo attraverso dei gadget
tecnologici (schermi interattivi, robotica che apre e chiude automaticamente
gli impianti, cablaggi e altro) non si scioglie il nodo perché sfugge
che il vero centro dell'informatica, come della materia, sono le interconnessioni.
Il mondo informatico è infatti essenzialmente
una ragnatela mobile. Possiamo riaggregare nuclei informativi l'uno all'altro,
gerarchizzarli in una miriade di relazioni e creare dei modelli. E al variare
di un atomo verificare il cambiamento dell'intero sistema oppure, cambiando
il senso, l'ordine o l'intreccio delle connessioni, formare mondi diversi.
La parola modello, diventa chiave in questo modo di ragionare.
Un modello informatico di un edificio è in potenza non solo una
costruzione tridimensionale che, come in uno reale, ci permette infiniti
punti di vista ma proprio un modello nell'accezione scientifica, (modello
matematico, finanziario fisico, statistico). I dati sono interrelati e
al mutare di uno variano gli altri.
Ormai tutti i programmi Caad consentono la possibilità
di avere una struttura gerarchica (di volta in volta chiamata simbolo,
tipo, oggetto eccetera) che rappresenta esattamente la possibilità
di creare nella progettazione quella ragnatela dinamica che è il
centro della progettazione elettronica
Dentro l'organizzazione di un progetto informatizzato
è possibile avere delle relazione dinamiche tra i dati che
descrivono un progetto per cui, al variare di alcuni, ne variano di conseguenza
altri a loro connessi. Le possibilità della simulazione in questi
ambienti affronta contemporaneamente l'organizzazione spaziale e costruttiva,
funzionale e formale, quantitativa e economica. Un progetto rappresentato
elettronicamente è non solo completamente diverso da un plastico
(dato che la visualizzazione tridimensionale è solo una, e in fondo
relativamente trascurabile, componente) per essere appunto un "modello"
: consente di avere una struttura dinamica e aperta per la simulazione
di un reale che nel nostro caso è una possibilità da inseguire
e progettare.
Possiamo così costantemente simulare progettando
e progettare simulando. E questo si spinge dalla fase di progettazione
a quella della costruzione (sempre più avremo frese, come quelle
di Gehry a Bilbao, che tagliano i pezzi in accordo al nostro disegno e
sempre più avremo robot direttamente guidati dal calcolatore per
la costruzione e sempre più questo patrimonio informativo, questo
modello, si muoverà oltre la fase della costruzione, nei catasti,
negli atti notarili, nella gestione dell'edificio e della città).
Ma veniamo ora al secondo aspetto della questione.
***
I messaggi fondamentali dell'epoca industriale sono stati
messaggi assertivi. Pensiamo alla pubblicità. Questo sapone lava
più bianco, questo jeans è più resistente, questo
dentifricio contiene fluoro.
Sappiamo che la pubblicità oggi manda sempre più
messaggi traslati. Induce a una associazione tra una serie di elementi
e il prodotto. Spesso senza neanche farlo vedere, il prodotto, e spesso
senza neanche descriverlo. Si compra prima la narrazione, l'utopia di vita,
che il prodotto promette, poi la sua forma e si dà assolutamente
per scontato che esso funzioni. Il contenitore stravince sul contenuto.
Il fatto è che proprio in rapporto all'enorme
mole di informazioni contenute nel prodotto, e quindi al know-how che in
si esso condensa, non è più possibile trasmettere razionalmente
e tecnicamente tutti i contenuti . Si devono perciò eliminare
messaggi statici e assertivi (causa ed effetto, prima e dopo, sopra e sotto)
e lanciare messaggi sostanzialmente metaforici, traslati, dinamici come
l'elettronica stessa. Rientrano così in gioco le "figure retoriche"
(straniamento, metonimia e molte altre ancora ma fermiamoci, per semplicità,
solo sulla metafora).
Questo processo di metaforizzazione, indotto da un sentire
che supera i meccanicismi industriali per aprirsi ad una sfera più
libera, e polidirezionata di messaggi, questo processo basato sulle interconnessioni
dinamiche della metafora, investe tutto ai nostri giorni. Basti vedere
il design e la stessa sfera per altro più resistente ai cambiamenti
dell'architettura.
Un edificio non è più buono solo se funziona,
è solido, spazialmente ricco, vivibile eccetera ma perché
rimanda ad altro da sé. Libeskind fa una Z drammatica per raccontare
il dramma dell'olocausto, Eisenman un ballo di zolle telluriche per la
sua chiesa, Gehry un fiore di loto nel suo auditorium, Domenig crepacci
che si scontrano nella sua casa. Sappiamo che questo processo di metaforizzazione
investe buona parte dell'architettura di oggi e che il suo campo fondamentale
è una nuova interiorizzazione del paesaggio e del rapporto tra uomo
e natura.
Questo è acquisito, o quasi. Per andare ancora avanti dobbiamo tornare all'elettronica e soprattutto al suo centro: le interconnessioni.
Molti architetti cercano specificatamente sul tema della pelle. La pelle dell'edificio si fa membrana trasparente ricettiva, non solo attrezzata tecnologicamente, ma simbolicamente. Pensiamo per esempio a Herzog & de Meuron o a Jean Nouvel. Altri perseguono la visione della grande macchina, cablata, informatizzata, concettuale. Vedi Rem Koolhaas o Franco Purini. Altri si muovono sulla vibrazione e su nuove accezioni del movimento. Eisenman fa un padiglione video seguendo i movimenti del pennello elettronico sullo schermo oppure le forme dei cristalli liquidi. Altri ancora come Frank Gehry, per esempio nel suo progetto per Times Square, su una metafora della rete (e cosa ci si poteva spettare da lui che le ha usate per primo in architettura) come nuvole informativa che tutto accolgono e avvolgono. Altri in un rapporto tra informatica e paesaggio come Toyo Ito o Zaha Hadid. Altri ancora nel caos del labirinto informatico come Arakawa o su un nuovo organicismo come Greg Lynn.
Io penso che la chiave sia in una spazialità liquida,
già esistente nella pittura di questo secolo, e che si lega a una
parola chiave dell'informatica "Hyper" che collega l'informatica alla metafora
e alle interconnessioni dinamiche per condurre alla ricerca in cui crediamo
di più, quella sull'interattività che è anche quella
dei Nox o di Kas Oosterhuis o di Reiser e Umemoto o di Diller e Scofidio
o di Marcos Novak o di Mark Goulthrope. Ma il discorso si aprirebbe di
nuovo e rimando ai libri di una collana che si chiama, naturalmente la
Rivoluzione Informatica.
Antonino Saggio
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Pubblicato originariamente su
Antonino Saggio
ARCHITETTURA E INFORMATICA. LA RIVOLUZIONE INFORMATICA
Costruire, n.180, Maggio 1998 (pp. 156-159).
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Vedi la Sezione di libri
La Rivoluzione Informatica/IT Revolution In Architecture
Glossario
Dello stesso autore sulla problematica trattata
Vedi in particolare la Sezione "Conference Papers"
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