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qualita' pensata per fornire suggerimenti ai tavoli degliarchitetti.
Le recensioni sono a cura di lettori che a
unosguardo serio e penetrante accoppiano una consapevole modalita' discrittura.
In collaborazione con Arch'It Sezione Libri
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IL PENSIERO IMMANENTE
di Roberto Sommatino
Dagli esiti di una sperimentazione dalla struttura
indissolubilmente scientifica e artistica, che ha come oggetto un'interazione
intelligente e di intelligenze, emerge un'architettura figlia della complessita'
e spogliata dalle vesti di supremo e superbo atto d'artificio, rigenerata e
ricondotta ad un dominio piu' vasto di conciliazione radicale e primigenia con
la natura.
Jean Louis Maubant & Leonel Moura (a cura di),
Architopia. Art architecture science,
Utopia biennial, Cascais 2001, (pp.142)
L'utopia ha un tempo, quello del viaggio, e si avvera
nella rapidissima e affannosa oscillazione della mente tra antipodi:
uguaglianza e liberta', fede e ragione, materiale e immateriale, natura e
cultura, e cosi' avanti. Ma in questo tragitto non vissuto, pendolare, cieco e
inconsolabile, tra distanze siderali, l'intelletto pure percepisce la verita',
ma solo sotto il limite della coscienza senza mai poterla osservare; e di
questo soffre, come in un ossimoro in cui la ragione e' perennemente frustrata.
A Cascais, in Portogallo, ogni due anni, si placano e decantano alcuni di
questi moti infaticabili, per rigenerarsi e ripartire.
All'interno della rassegna
Biennial Utopia, Architopia e' la mostra che questo catalogo racconta, e che
offre punti di vista su una provincia che pare privilegiare l'architettura; una
ricerca che ha esiti artistici, ma si nutre di sperimentazioni scientifiche e
tecnologiche, che a volte indaga la realta' con gli strumenti esotici dell'arte
ma indirizzando e facendo nel contempo progredire conoscenze e discipline
galileiane. Il volume raccoglie le vicende di alcuni tra i "viaggiatori"
ai margini tra architettura, arte e scienza.
Margini che, come vedremo,
non sono mai confini; e non si tratta solo una maggiore intensita' di
contaminazione tra settori differenti, si va ben oltre il fascino dei
neologismi o di un meltin pot rimestato da piu' parti: i risultati, le scoperte
che (appropriatamente direi) emergono, raccontano di orizzonti nuovi, mettono
in crisi i prematuri tentativi classificatori, ma "sorprendentemente"
convergono, come attratti dalla stessa, connaturata, legge.
SP0001, il primo "swarm painting" prodotto dall' aLife Art
Architecture Lab
Dall'architettura nell'accezione
piu' consueta si muovono invece altre ricerche: gli italiani Ian + concentrano la loro attenzione sull'abitare, nell'accezione
piu' integrale ed estesa, kiesleriana. Il loro housescape e' un dominio di
intersezione tra architettura e paesaggio, che il progettista indica,
suggerisce, senza precisare; uno spazio da vivere, ossia da riempire,
specializzare e specificare. L'edificio e' "…un recinto, e' il margine tra
interno ed esterno", nel quale si organizza la complessita', si compongono
le "relazioni pericolose" tra natura ed artificio, riducendole a
comuni denominatori. Un abbassamento del gradiente di antropizzazione del
progetto che e' in realta' solo una strategia che sortisce l'effetto di legare
intimamente l'architettura al paesaggio, lasciandola aperta, altamente
flessibile; e se poi la forma e' fondata su parametri topologici, e' anche
senza punti di partenza o di arrivo, cioe' in continuo divenire.
Ian+: Centro
congressi di Darmstadt
Installazione alla Bienal Utopia
Certo meno radicale e' l'atteggiamento dei francesi di R&Sie… : l'architettura si', partecipa del contesto in un
tutt'uno inestricabile, ma non certo indistinguibile; essa diventa un garbuglio
simbiotico di superfici sensibili, organiche, e "geografiche", che
non rinuncia, talvolta, al forte impatto formale insieme pero' ad un evidente
(ma per questa ambivalenza certo non banale) tentativo mimetico. Anche dalle
loro parole chiave, "iperlocalismo", "ibridazione",
scaturisce un'alterita' persistente tra paesaggio e architettura, tumultuosa,
non certo pacificata, ma forse tendenzialmente irrisolvibile.
Il grattacielo Resi-rise di Kolatan
/ Mac Donald Studio e', invece,
programmaticamente suscettibile di trasformazioni (regressioni o crescite
appunto), che oggi diremmo drastiche ed eccezionali, e che invece, diventano
primo segno di vita e di riuscita del progetto. Le unita' abitative sono
pensate come "bozzoli" sostituibili e riciclabili all'occorrenza,
indipendenti l'un l'altro, la cui occupazione determina l'architettura in modo
estremo: la forma segue l'uso continuamente, non nel progetto ma nella vita
dell'edificio. Come affermano i progettisti stessi, non cinquantuno
appartamenti, ma cinquantuno storie.
Tanto discreti quanto estremi sono di certo
Decosterd & Rahm, i quali
estendono a parametri nuovi le possibilita' di controllo dello spazio. Alle
qualita' indotte dalla luce, dalla forma, ai comuni comfort ambientali
(termico, acustico, visivo) sommano le possibilita' della chimica, quelle
ormonali ed elettromagnetiche. Al pari di temperatura ed umidita' esse non
subiscono il filtro culturale e psicologico, sono mezzo e informazione insieme;
e spazio e corpo non hanno piu' soluzione di continuita', mentre l'architettura
ridotta in questi termini e' interamente sublimata o, se vogliamo, azzerata. La
loro utopia e' Hormonal City, uno spazio aperto connotato esclusivamente da
fluttuazioni chimiche, emissioni gassose, perdite e campi di forza ; il piano
orizzontale e' l'unica forma che residua, il contesto coincide col testo, una
contaminazione con una "costruzione".
D.&R.: Hormonal City
Per provare a immaginare uno
spazio mutevole in tempo reale per forma e contenuto, che assume di volta in
volta un'identita' diversa Oosterhuis
propone l'edificio programmabile e interconnesso Trans-ports. Egli prefigura un
padiglione/software dotato di una struttura analoga ad un fascio muscolare
contrattile, continuamente alterabile attraverso l'intervento via web di tanti
utenti (programmatori) connessi; come "uccelli in una gabbia" egli
dice, una gabbia in continua trasformazione, innescabile e non prevedibile nei
suoi esiti ultimi. Ma l'edificio di Oosterhuis ha senso specie se considerato
parte di una ragnatela di simili, a formare una sorta di organismo (ed essi
stessi sono definiti una specie di "materiale") intrinsecamente "intelligente"
in quanto capace di comportamenti emergenti, inattesi; cosi' come gli stormi di
altri uccelli, quelli elettronici delle prime simulazioni anni '50 di sistemi
complessi.
Chi invece, ferma la sua
attenzione solo sul progetto e' Makoto Sei Watanabe. Alla fine del suo percorso c'e' ancora una forma e
una sola, ancora una volta e' un cammino progettuale cristallizzato. Ma cio'
che conta e' la codifica del processo; sono logiche complesse, fatte di
principi messi ad agire, di ricerche tra le pieghe del caos. Il suo "Induction
design" prova a riprodurre, riducendo a metodo scientifico, trasferibile e
riproducibile attraverso appositi software, l'arbitrio, l'imprevedibilita', la
genialita' dell'errore, le capacita' di adattamento e flessibilita' di logiche
organiche, o le norme sfumate, "fuzzy". E' il tentativo di codificare
cio' che Horace Walpole chiamo' "serendipity", quella "sagacia
accidentale" come la definisce Merton che permise a Fleming di scoprire la
penicillina o ad Archimede di non limitare ai soli fini igienici il tempo di un
bagno; e che e' stata la spia di quelle logiche non lineari incomprensibili,
irriducibili e per questo emarginate, fino a non molto tempo fa, dalla cultura
scientifica tradizionale.
Mark Goulthorpe e Mark
Burry si concentrano sul dato piu'
strettamente tecnologico ma certo non trascurabile; puntano a dare strumenti a
chi li prefigura e la loro Aegis Hyposurface e' il prototipo di superficie
interattiva, controllabile via software "punto per punto". Costituita
di piccoli triangoli metallici mossi da pistoni gestiti elettronicamente, e' in
grado di assumere forme, riprodurre semplici disegni in rilievo e soprattutto
dare vita ad animazioni superficiali (increspature, ondulazioni, ecc.) su
dimensioni teoricamente a grande scala. Governata da un'intelligenza
artificiale sarebbe non solo interfaccia
di una interazione in tempo reale ma anche vero e proprio organo di
comunicazione: una pelle topologica.
Anche Ted Krueger lavora sulle interfacce.
Partendo, per una comprensione dell'intelligenza, dal superamento del
cosiddetto approccio cognitivista verso il piu' efficiente modello
comportamentale, egli coglie la necessita' di ripensare la filosofia di
comunicazione degli esseri umani con entita' elettroniche. Probabilmente non
saranno nuovi dispositivi veicoli di logiche esclusivamente simboliche od altri
(seppure sofisticatissimi) schermi a risolvere alla radice la problematicita'
di questo rapporto; ed infatti Krueger e' tra coloro che investono sul semplice
gesto, sull'evento tout-court, sulla sensibilita' complessiva e corporea dell'ambiente
e dell'agente (attraverso il proprio apparato sensoriale), la cui mente, dice l'autore
citando Maturana "…e' nel comportamento e non nella testa". Un ottimo
contributo accompagnato da molte immagini di una strana "bicicletta"
chiamata MAXM (Media Augmented eXercise Machine) testimone di un approccio non
solo simbolico ma anche (e decisivamente) fisico verso la comprensione di un'intelligenza
non piu' confinata tra i neuroni ma giustamente coestesa all'ambiente, alle
interazioni e incarnata da corpi.
Media Augmented Exercise
machine
Insomma, l'ubriacatura
novecentesca di analisi di ogni sorta, di frammentazioni, separazioni e individualismi,
ha trovato lo stordimento del mattino dopo. Nell'era di quella che qualcuno ha
chiamato "scienza simulante", l'utopia sembra essere la
riconciliazione tra le cose; non la ricerca del mattone irriducibile, piuttosto
la tensione verso la legge unica. In architettura, dopo la mareggiata
decostruttivista sublime e salutare, non solo (come forse era prevedibile) la
forma e' in risacca, ma lo e' anche il progetto, e con esso l'architetto. Pur
essendo pero' la contrazione solo strategica. Se e' vero, infatti, che il tempo
"brandiano" della "formulazione dell'immagine" nella piu'
blanda delle ipotesi e' timido, quasi invisibile, e nella piu' estrema e'
interamente sottratto al controllo umano; e se e' vero, quindi, che quando si
parla di atto creativo non si puo' piu' sottintendere anche quello di
espressione dell'immagine stessa, ora definitivamente e completamente separati,
diventando la creazione un innesco dagli esiti non controllabili, e'
altrettanto vero che non diminuiscono affatto le responsabilita' (e quindi i
meriti e le colpe), ma anzi, spostandosi a monte di un dominio olistico, cresce
a dismisura.
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