Intervento
(quicktime movie)
AS, Intervento all'Accademia di Spagna dell 11 gennaio 2001 alla Presenza
del Sindaco e dell'assossore dell'Urbanistica
Interiste
(quicktime movie)
AS, Novembre Bilbao 1997
Cattedrale
(1,3MB)
Torre
(1,5MB)
Traiettoria
(420K)
Urbatettura(840
MB)
Intervento e testo (quickTime movie)
AS a Proposito del Museo Guggenheim al Convegno di Reggio Calabria
in onore di Bruno Zevi
Leggi un Intervista a Ibon Areso Mendiguren, assessore all'Urbanistica del Comune di Bilbao. Courtesy del prof. Francesco Tentori, Iuav
L’importanza dell’evento è
stata sottolineata in tutto il mondo. Time gli dedica otto pagine con copertina
a Re Juan Carlos, che ha inaugurato il museo, altrettanto spazio il New
Yorker, in Italia la notizia è arrivata nei telegiornali.
Centinaia i consensi, i pareri,
le opinioni. Riportiamone solo tre2, di artisti che hanno la capacità
di forare l’immaginazione.
Ed Moses, pittore "di strada" californiano:
"Frank era uno dei nostri e guarda un po' quanta strada ha fatto. È
di gran lunga il più noto internazionalmente. Chi se lo sarebbe
aspettato da quel piccoletto".
In risposta alla domanda se il
nuovo museo funzionerà perfettamente per fruire le opere d’arte,
Philip Johnson, deus ex machina dell’architettura Usa: "Quando un edificio
è buono come quello, fuck the art" (eufemisticamente, chi se ne
importa).
Richard Serra, geniale scultore:
"Ha un movimento tremendo, come una nuova versione di Boccioni."
Boccioni? Chi, l'Umberto Boccioni propugnatore della scultura
e pittura futurista, morto soldato a 34 anni durante la prima guerra mondiale?
Ma allora, anche la nostra cultura ha contribuito.
Serra con l’intuito dell’artista coglie il centro (o
quello che anche me è apparso tale quando ho scritto una monografia
di larga diffusione su Gehry nello scorso giugno).
Boccioni a partire dal 1910 rinnovò completamente
la scultura. Se i cubisti avevano infranto la cornice prospettica per una
disarticolazione dei piani, egli eliminò il piedistallo che separava
l’oggetto dall’ambiente circostante. Voleva creare delle sculture che trasmettessero,
come delle dinamo, energia.
Per farlo le sue creazioni anti-piedistallo dovevano
essere una "costruzione architettonica delle masse" che modellano "l’atmosfera
che circonda le cose". In Muscoli in velocità o Forme uniche nella
continuità dello spazio, il movimento si slancia fuori da sé.
La potenzialità di queste Sculture di ambiente
non hanno generato una vera sperimentazione in architettura. Il messaggio
rimase quasi inesplorato e la bottiglia che lo conteneva mai realmente
aperta. Il manifesto dell’architettura futurista di Antonio Sant’Elia si
mosse più sul piano dei contenuti (centrali elettriche, viadotti,
ascensori, rampe, eccetera) che sulla individuazione di una legge formativa
che captasse le linee dinamiche di Boccioni, il Costruttivismo russo teorizzò
l’assemblaggio dei volumi e le spirali di Tatlin rimasero un sogno, alcune
opere come la Torre Einstein di Erich Mendelsohn o la cappella di Ronchamp
di Le Corbusier usarono la componente espressionista di Boccioni invece
di quella spaziale, John Johansen, e siamo arrivati al 1969, costruì
il suo Mummers theater con un processo di nuovo assemblatorio pur se aperto
nello spazio, più che plastico.
È solo Gehry che capisce sino in fondo la parola
futurista "traiettoria".
Le direttrici protese nello spazio, in Boccioni come
in Gehry, sono sì rettilinee, ma nella tensione a fendere l’aria
si deformano. La retta diventa arco, parabola, appunto traiettoria.
Questa è la prima cosa che colpisce, il centro
formativo dell’opera di Gehry. Come Boccioni il suo obiettivo è
fare una scultura di ambiente ma questo può essere fatto solo con
una specie di urbatettura (una parola di Bruno Zevi).
Gehry sceglie per il progetto un'area industriale semi
abbandonata tra il centro, le nuove espansioni periferiche e che si snoda
lungo il fiume. Interconnette i tre poli dimostrando come con una concezione
urbana e plastica al contempo si possa valorizzare un’area di basso valore,
risolvere un sito derelitto, riagganciare la città al suo fiume,
la periferia al centro.
I corpi si avvinghiano e si slanciano con virulenza meccanica,
ma creano cavi, piazze, banchine attrezzate, luoghi per la gente.
La grande opera è già un simbolo. Ed è
un simbolo mondiale, che vale un pellegrinaggio. Come Chartres e Notre-Dame
è una cattedrale, una rappresentazione della parte migliore del
nostro essere oggi. Perché oggi il museo come simbolo pubblico ha
preso il posto delle chiese (basti vedere l’intera cittadella delle arti
che l’architetto Richard Meier sta inaugurando a Los Angeles per il Getty
center, anche questo lavoro di 1000 milioni di dollari, sia detto tra parentesi,
ispirato all’Italia di Villa Adriana e dei centri collinari medievali).
L’investimento di 180 miliardi di lire per Bilbao (parecchio meno
della sola copertura dello Stadio Olimpico di Roma, 220 miliardi, e una
piccola frazione dei 3500 Miliardi stanziati per il Giubileo) è
anche un affare perché il pellegrinaggio è un obbligo nel
nuovo consumo culturale (o neo-spirituale?) di oggi. E ha ragione Johnson,
i milioni di persone che lo visiteranno andranno in primis per l’architettura.
Il sogno di Boccioni, si tramuta in realtà attraverso
Gehry. Ma Gehry a sua volta è un tipico risultato della libertà
che solo in America è possibile.
Povero ebreo arrivato a Los Angeles dal Canada nel 1947,
guida un camion per mantenersi agli studi. Dopo la laurea vive lavorando
negli uffici di architetti affermati e solo nel 1962, a 33 anni, riesce
ad aprire un proprio studio. Per quindici anni fa il professionista, sull’onda
del boom edilizio della west coast, ma a 49 anni decide di ricominciare.
Licenzia le 40 persone dello studio e decide di non accettare più
compromessi. Ricomincia daccapo con minuscole commesse ma inseguendo la
sua vera passione. L’arte. Non quella aulica e blasonata, non quella in
doppiopetto di Richard Meier, ma quella dei sandali, della camicia fuori
dai pantaloni, del suo essere sempre spettinato, della ricerca di se stessi.
Cerca con i suoi amici pittori pop nel mondo povero degli scarti e capisce
che c’è un immensa vitalità in quello che chiama cheapscape,
il paesaggio povero e abbandonato delle periferie di tutto il mondo.
Passo dopo passo fa breccia. Una grande mostra organizzata
da una donna coraggiosa, il critico Mildred Friedman, lo lancia in tutto
il mondo nel 1986. Dopo verranno i premi e le commesse prestigiose. In
Europa costruisce a Parigi, a Praga, a Barcellona, in Germania, in Svizzera.
(Ma, “Nemo propheta in patria” ha infinite e ancora aperte amarezze a Los
Angeles nella realizzazione dell’Auditorium Disney).
Torniamo a Bilbao. L’idea di Boccioni è una scultura
architettonizzata, Gehry fa invece una architettura scultorizzata. Vogliamo
dire che in Boccioni l’idea degli interni abitabili è assente, mentre
l’opera di Gehry è tanto forte all’esterno quanto all’interno.
Un atrio di 50 metri di altezza (che lancia un lontano
abbraccio al grande cavo del museo madre di New York, il Guggenheim di
Frank Llyod Wright completato nel 1959 a forma di spirale) è uno
spazio assolutamente incredibile, plasmato, contorto, aperto alla luce
e ai flussi. Da questo centro si dipartano i corpi espositivi, i servizi,
le librerie, le zone di ristoro. Perché il museo crea oggi spazi
per la gente tanto fuori che dentro. Consente di leggere un libro, accedere
ai media più diversi, chiacchierare con un panino insomma vivere
dentro il museo scegliendo il grado e il tipo di coinvolgimento che si
vuole con l’arte. Gli interni sono sempre vivissimi, plastici, strabilianti.
Fanno guardare a testa all’insù come nelle cattedrali e trattenere
il respiro. Un grande corpo allungato e arcuato, alto 30 metri e lungo
più di 100, ospita le grandi installazioni e si incunea sotto il
ponte che borda l’area. E accanto al ponte, come una vera cattedrale contemporanea,
non vi può non essere un campanile. Quasi inutile, come quelli antichi,
quanto assolutamente indispensabile. È una torre per la vista che
l’architetto realizza come una forcella slanciata verso il cielo.
Il rivestimento in pannelli di titanio (realizzato da
una ditta italiana di Conegliano veneto) luccica, splende, rimbalza la
luce a tutte le ore e la rifrange sull’acqua. Ecco perché Luna,
Luna di Bilbao.
Ma non erano i futuristi che dichiaravano "Noi vogliamo
uccidere il chiaro di luna"? Sì, perché volevano proiettare
il mondo al domani, eliminare i patetismi ottocenteschi e le decadenze.
Non potevano pensare, non potevano neanche immaginare, forse, che un architetto
americano ottanta anni dopo avrebbe potuto realizzare una gigantesca luna
meccanica, avrebbe fatto una cattedrale per celebrare l’arte di oggi, l’avrebbe
agganciata a un sito industriale per rilanciarlo e con essa tutta la città,
avrebbe creato dei fantasmagorici spazi per usare l’arte in maniera viva
"anti-museale", avrebbe saldato in una nuova sintesi paesaggio industriale
e natura di fiume e di cielo.
Il ragazzo Boccioni, crediamo, sarebbe orgoglioso di
quel piccoletto di Gehry e di essere ricordato come uno dei suoi padri.
Antonino Saggio
Antonino Saggio
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