Intervento di Antonino Saggio
al Convegno di Modena "Paesaggistica e linguaggio grado zero dell'architettura" indetto da Bruno Zevi.

Estratto integrale
Sulla paesaggistica frontiera dell'architettura

in inglese e in italiano
si trova in formato molto ridotto pubblicato in
Bruno Zevi, Landscape and the zero degree of architectural language,
Canal&Stamperia editrice, Venezia 1999 (pp. 452-454)
e anche su L'Architettura n. 503-506

 
 
 

Io credo che su Kikutake torneremo alla fine. Il Professore mi aveva detto di parlare tre minuti: forse sarò appena qualche minuto più lungo, ma cercherò di non evadere la domanda.

Prima, però, volevo parlare di noi che veniamo a questo convegno con l'invito che abbiamo in mano. Un famoso filosofo, alla domanda "Chi parla", rispose forse nella maniera più interessante, più profonda: "E' la parola stessa". Quando mi è arrivato l'invito, mi si è immediatamente acceso un problema: io sento che dentro queste due parole - Paesaggismo e Linguaggio grado zero - c'è tutto. Sono parole che per noi, oggi, fanno riflettere. A questo punto potrei andarmene e dire: "Invece di tre minuti ho parlato trenta secondi e sono stato bravissimo". Ma sarebbe un po' una fellonia, e quindi credo sia giusto continuare per dirvi quali sono i contenuti che io ho visto in questa splendida titolazione del convegno.

Se poi qualcuno può avere avuto qualche dubbio dopo aver ricevuto questo invito, bastava aprirlo e trovava Burri. E chi, se non Burri?

Allora un passo brevissimo indietro. Come abbiamo capito da Zevi, noi siamo antichi: noi architetti italiani siamo antichi. Lui vive con Lanfranco, ha parlato due minuti fa con Terragni, i nuraghi sono dietro l'angolo. Ma abbiamo capito un'altra cosa: siamo antichi, noi italiani in primis, perché abbiamo il problema della modernità, e questo nessuno come Zevi ce lo ha fatto capire. Siamo antichi perché abbiamo il problema della modernità. Sappiamo che modernità non è un concetto temporalizzabile. Il problema non è se è più moderno Michelangelo o Libeskind, il problema non è Libeskind o Lanfranco, chi è il più moderno? Se il problema della modernità non è un concetto temporalizzabile, allora che cos'è la modernità?.

Io, come tantissimi di voi, conosco a vari livelli il Professore da tantissimi anni, e quindi in qualche maniera tutti abbiamo sentito questo problema. Ma io l'ho capito una volta, veramente, quando con le sue domande a trabocchetto, mi disse "Ma, insomma, Saggio, che è questa modernità? Io sono cinquant'anni che ci lavoro...". E io dissi: "Certo non è temporalizzabile" Questa cosa l'avevo capita ma lui mi disse: "Saggio, la modernità è quella che trasforma la crisi in valore".

Zevi interviene. "Ma non è mia!".

Saggio prosegue: Non è sua, ma a me è arrivata tramite Lei. Duchamp ci ha insegnato che è fondamentale la scelta .

Allora la modernità è quello che trasforma la crisi in valore. A questo punto abbiamo una chiave di lettura potentissima, abbiamo un'equazione matematica di una forza incredibile per direzionare noi stessi, per capire il passato, quello che poi per noi italiani non è mai passato completamente, e per proiettarci all'oggi e al domani. E allora riflettiamo un secondo, perché le armi servono anche per riflettere, e guardiamo brevissimamente anche a questo secolo in quello che si può fare in un intervento quasi a braccio. Scopriamo, dopo la prima guerra mondiale, di fronte a questa crisi atroce della grande guerra che aveva sconvolto l'umanità, due grandi risposte: quella dell'anima dell'individuo, vedi Mendelsohn, vedi l'Espressionismo, e quella vincente, e lo dobbiamo dire che è stata la risposta vincente, quella che vedeva comunque nella macchina e nel mondo dell'industrialismo, una crisi a cui gli architetti dovevano rispondere. E dovevano rispondere come? Lo sappiamo: Nuova Oggettività, Funzionalismo e, soprattutto, una nuova estetica. Nasce il Bauhaus che, se lo pensate un attimo, è veramente una grandissima risposta anche estetica, forse non solo estetica ma anche etica, a che cosa è il mondo dell'industrialismo e come il mondo dell'industrialismo si può tramutare in valore estetico. Quindi grande crisi sul problema della nuova città e dell'industrialismo, risposta a questo mondo della macchina attraverso tantissime cose che voi sapete, ma anche una nuova estetica. Possiamo continuare in questo nostro secolo, in cui ci sono state molte crisi, e le crisi sono economiche a volte, ma altre volte semplicemente crisi del pensiero, crisi della nostra collocazione rispetto al mondo e alle risposte che vogliamo dare a questo mondo. E qui non faccio con voi questo percorso perché credo che i capisaldi ci siano, basti pensare alla seconda guerra mondiale, al grande mito dell'urbanistica eccetera. Avviciniamoci un momento a noi, e pensiamo agli anni ‘70, agli anni ‘80, agli anni ‘90. Gli anni 70 sono stati, io credo, il momento in cui il centro del problema era il linguaggio, non solo perché Zevi ha scritto il "Linguaggio moderno dell'architettura", e altri hanno scritto il "Linguaggio classico", ma tutto il problema dell'architettura sembrava gravitare su questo problema del linguaggio. Erano gli anni in cui esistevano le grandi contrapposizioni e queste contrapposizioni viaggiavano sul linguaggio. Vi ricordo soltanto come si chiamavano le riviste: Eisenman faceva "Opposition", altri facevano "Contropiano", "Controspazio", tutto era Contro, e il valore era un linguaggio diverso. Chi dava dei contenuti di innovazione, che erano condensati nel linguaggio, e chi anche pensava di dare dei contenuti e delle innovazioni nel linguaggio, che si scontravano uno con l'altro. Gli anni 80 sono gli anni, da un certo punto di vista, del postmodernismo, ma non solo: sono gli anni in cui in tutto il mondo il problema del contesto era il nostro problema. Chiunque abbia lavorato come architetto lo sa e certo il problema del contesto voleva anche dire la coscienza che forse la città non poteva crescere all'infinito, che forse dovevamo anche fare i conti con l'esistente. Si sono date tante risposte, si sono date senza dubbio delle risposte mimetiche, revivalistiche, di retroguardia, ma in quello stesso ambito, in quello stesso momento, come allargamento di questo problema nasce il cheapscape, cioè nasce la coscienza che contesto è anche un contesto derelitto, abbandonato, povero, nasce in qualche modo anche il grande messaggio di Gehry. Ma anche Eisenman lavora su queste problematiche, ha un'idea tutta metaforica di contesto. E oggi? Oggi abbiamo questo, abbiamo "Paesaggistica e il Linguaggio grado zero dell'architettura". Io credo che noi (e noi architetti arriviamo sempre un po' più tardi perché nel dibattito intellettuale il problema del rapporto tra uomo e natura non è certo del ‘97: già nei primi anni 70 nel dibattito filosofico e sociologico questo era un tema fondativo), noi cominciamo a misurarci con il problema del rapporto tra i nostri artefatti e la natura. Però, attenzione a questo nesso: la civiltà delle macchine non si incorpora nella fabbrica soltanto, e il problema del rapporto con la paesaggistica non vuol dire necessariamente disegnare giardini, o fare giardini, o inserire giardini. Il problema è molto più ampio, di cui questa è una sotto componente, ma il problema fondamentale che ci poniamo è il rapporto tra il paesaggio e la natura e l'architettura. Il problema diventa quello che l'architettura stessa deve proporsi come nuova naturalità, come nuovo paradigma sintetico che comprenda paesaggio e natura, come idea fondativa dell'architettura stessa, strutturante, un nuovo essere dell'architettura. E' una formula un po' condensata: nuovo paradigma dell'architettura, il paesaggio.

Questo è pazzo, direte. Secondo me, non sono pazzo. E per dirvi questo farò degli esempi, ed è l'unica cosa che posso fare, e lo farò soltanto con la forza della parola, se c'è. Da dove dobbiamo partire per capire questa idea del paesaggio come nuovo paradigma dell'architettura? Da dove se non dal Giappone? E perché dal Giappone? Perché è lì, è in quella cultura che c'è (fra l'altro moltissime cose partono dal Giappone nell'arte moderna: basti pensare agli Impressionisti, alla rottura della scatola, ma questo ve lo risparmio) un rapporto tra artefatto e natura opposto al nostro. Non vi cito neanche il grande tema della casa del tè, cioè il problema del matrimonio spaziale tra interno ed esterno, vi parlo soltanto della differenza radicale e fondativa che c'è tra il tempio scintoista e il tempio greco. Il tempio greco ha in sé tutti gli enzimi della perennità, di una sacralità basata sulla sua eternità, su un rapporto con la natura di tipo sì sacrale ma in fondo dicotomico. Il tempio scintoista si ricostruisce ogni vent'anni, si deve ricostruire ogni vent'anni, è un rapporto con la natura e con il paesaggio che ha un sentire opposto, in cui il valore è dato dalla sua provvisorietà, ed è un modo di ragionare opposto, completamente diverso dal nostro, che rifonda dalle basi un rapporto diverso. E allora in Giappone gli architetti che hanno questo tipo di imprint, che cosa fanno? Pensiamo un attimo: per esempio, io sono stato presentato come giovane e quindi guardo architetti giovani, pensate a Toyo Ito: non possiamo pensare a Toyo Ito se non pensiamo a questo tentativo di fare della natura un nuovo paradigma, ma un nuovo paradigma che diventa tecnologico, che diventa leggero, che diventa un'altra cosa. Continuiamo questo giro. Facciamo un salto brevissimo in Australia. Pensando all'Australia non si può non pensare a Utzon, e la cosa non è casuale perché fra l'Australia e i paesi nordici c'è un filo continuo. Utzon è talmente gigantesco, talmente sommo nella sua forza che ancora non siamo riusciti a capirlo completamente. Utzon vuol dire l'Opera House, e Zevi l'ha descritta, e non credo che nessun'altra parola debba essere aggiunta. Ma pensiamo anche a un architetto, che in realtà non è più giovane però è noto solo da pochi anni come Murcutt, pensate al suo rapporto con il terreno, a queste architetture leggere, fluttuanti che però si muovono e sembrano catturare certe presenze anche di una natura e di una cultura spontanea e popolare. E poi, saltiamo, continuando questo giro del mondo, per arrivare in California. In California c'è Schindler che queste cose le aveva capite, perché era un viennese prima di tutto, e l'Art Nouveau l'aveva nel suo sangue, e allo stesso tempo sente Wright e vive questo sentire il giapponese. E lui fa architetture che sono alberi, che vibrano continuamente. Ma Schindler è nel passato ormai e quindi guardiamo un secondo di nuovo a Gehry. E Gehry fa una rivoluzione che è quella di cui abbiamo parlato. Attenzione: il problema del paesaggio non è soltanto puramente la natura, ma è anche appunto un paesaggio secondo, residuale, che diventa nostro valore. In California tantissimi operano su queste tematiche. Avete mai visto a come ultimamente i Morphosis, (per dire di un gruppo alla moda, ci sono appunto molti trentenni e quarantenni che vivono di queste cose), fanno i plastici? Sono plastici, e quindi sono anche architetture, che introiettano il paesaggio in se stesse, che diventano paesaggio. Sono curve di livello o onde trattate, non c'è neanche differenza tra come l'intorno e l'edificio sono fatti, e questo vuol dire una ricerca in cui il problema è di nuovo rimisurarci con la natura e con il problema del paesaggio come valore fondativo dell'architettura, come il problema dell'industria è stato valore fondativo del Bauhaus. Perché è la crisi cui siamo di fronte: se noi non ci rendiamo conto che questa è la crisi, che dobbiamo misurarci su questo e che gli anni a venire non possono non misurarsi su questa tematica, l'architettura diventa sorda, e noi non vogliamo che l'architettura sia sorda, ma dev'essere uno degli avamposti della riflessione intellettuale. Muoviamoci ancora un pochettino verso Est, e chi troviamo? Troviamo Soleri, un pioniere di questa problematica: fin dagli anni ‘60 tenta di realizzare un'architettura che dica questo, che faccia questo. Certo non ha i segni di questi architetti che noi sentiamo più vicini a noi, però il problema è questo, ed è un pioniere dell'eretico, ed è stato un eretico per questo, perché aveva cominciato a farlo trent'anni fa in questo suo piccolo studio con questi studenti con i sandali che venivano da tutta l'America per aiutarlo a creare.

Vi posso citare Bruce Goff e altri, però non voglio fare una cosa troppo ricca. Andiamo in East Coast e troviamo Eisenman. Avete visto soltanto per un momento il progetto di Chiesa di Eisenman? Si tratta di un'architettura come la intendevamo prima, o veramente il problema del paesaggio è diventato nuovo paradigma? Sono due zolle, tre zolle che si articolano telluricamente, dentro cui capita di esserci una chiesa, anche una chiesa nuova, diversa, eccetera, però in questo contesto a me interessa far capire come un architetto di punta come Peter Eisenman si crei in quel progetto questo problema, esattamente questo problema. E navighiamo, attraversiamo l'oceano e capitiamo in Spagna. Basterebbe fermarci qui, nominare Gaudì, e tutte le persone qui presenti sono super informate, sicuramente più informate di me, per rendersi conto di come le cose più interessanti in Spagna nascano su questo problema. Ve ne cito una, Enric Miralles non si può non citarlo, Miralles è tutto in questo, da quando fa gli arredi urbani a quando fa i cimiteri a quando fa le scuole. Ripeto: il problema non è il tema, il problema è questa nuova consapevolezza. Ma voglio citare unesempio in una chiave diversa: la municipalità di Barcellona ha fatto un'opera assolutamente straordinaria e incredibile che è questo nuovo anello viario che costeggia le colline, Franco Zagari sicuramente potrà essere molto più preciso di me. È una infrastruttura che non solo si inserisce nel paesaggio, bensì fa paesaggio, diventa paesaggio e allo stesso tempo genera nuove architetture, perché a volte si costruiscono delle scuole sopra la grande strada, oppure dei campi gioco o degli uffici. Questa è un'infrastruttura incredibilmente importante, perché è un nuovo paradigma di infrastruttura, di rapporto con il paesaggio, di modo in cui l'architettura può esistere, al di là del fatto che questa consapevolezza sia portata fino in fondo nei singoli edifici. In Spagna ci sono altri personaggi di un certo interesse. Vi posso soltanto citare l'ingegnere-scultore Calatrava. Secondo me il termine architetto è ancora un poco inappropriato, ma il grandissimo ingegnere-scultore Calatrava, affronta il paradigma del movimento, e il problema del movimento è un altro ragionamento su questa tematica. E lasciamo perdere il resto d'Europa, dove vi sono molte altre cose importanti (basti pensare ai paesi nordici) e torniamo un po' a Roma.

E, per essere sinceri, non si può non parlare di Roma essendo romani. È una cosa troppo importante, e mi scuso di essere a Modena e di non avere la capacità e la cultura di parlare di Modena. Io voglio parlare di Roma perché sento Roma. E a Roma m'incavolo anch'io, in maniera diversa da come Franco e il Professor Zevi hanno fatto. Mi domando: "Se abbiamo una giunta tra virgolette ‘ambientalista', quale è la sua capacità di elaborazione culturale e di progetto reale sul nostro tema?". A Roma abbiamo ancora delle potenzialità enormi: pensate a quello che è un progetto, che è un disegno, e che è il Parco Archeologico dell'Appia, e che consiste nel tentativo di far capire come alla grande scala (e qui entra il paesaggismo inteso in un'altra maniera) architettura del passato, disegno urbano, disegno territoriale si integrino.

Ma si tratta di rilanciare in grande questa idea. D'altronde se pensate un momento alle Fosse ardeatine, vedrete subito come è possibile fare un'architettura che diventa che è paesaggio. Stona dentro il parco dell'Appia? Niente affatto. Lo fa capire meglio. Perché mai non si potrebbe riprovare?

Questo è quanto sul Paesaggismo. Si tratta in fondo di capire come fare architettura che non rispetti, non si adatti, non sia solo ecologica o intelligente (cose che certo non guastano) ma che si trasformi essa stessa in nuova natura, in nuovo paesaggio.

E veniamo brevemente al perché del Grado zero del Linguaggio. Ma è chiaro, mi pare. Se il problema si sposta in questa nuova sostanza il linguaggio in quanto tale si azzera. Forse il problema è combattere gli accademismi, le architettura della città, la neo-metafisica? Ma questo non è più un obiettivo perché è il tema stesso che lo esclude, storicamente. Come se nella nuova civiltà delle macchine alla trasparenza dinamica gropiusiana si contrapponessero gli stucchi decorati. Semplicemente non esiste.

Se il problema è come credo cercare un'architettura che diventi paesaggio, che è paesaggio, dobbiamo fare del linguaggio specifico un problema secondo. Cercare nuove semplicità, guardare alle altre ricerche con interesse e freddezza per trovare nel nostro specifico le ragioni profonde.

In maniera un po' provocatoria, voglio dire, per chiudere, che il problema forse non è il linguaggio ma è la parola stessa.

Zevi: Io avrei dovuto interrompere Saggio dopo tre minuti o dopo tredici minuti, ma quando sono di fronte all'intelligenza, io mi arrendo. Ha la parola Dennis Sharp.


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