di Antonino Saggio
Massimiliano Fuksas, oggi cinquantenne,
è stato tenuto nascosto all'intera cultura architettonica italiana
con l'antica tecnica del silenzio. Prima perché giovane eccentrico
ed eversivo poi, quando le opere che andava realizzando all'estero parlavano
da sole, è stato visto come uno scomodo estraneo. Per il prossimo
triennio, con una scelta coraggiosa e promettente, è stato nominato
dal presidente Paolo Baratta direttore della sezione architettura della
Biennale di Venezia. Succede a Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Aldo
Rossi, Francesco Dal Co e Hans Hollein. Come sarà la sua Biennale
è domanda che in molti si pongono. E la risposta più fondata
non può che partire da quello che Fuksas pensa e pratica da un trentennio.
Fuksas ha posto al centro della
sua attività il credo "architettura è costruire" e ha portato
avanti questa convinzione con l'energia che il cognome spigoloso e irruente
del padre lituano lascia presagire.
Essere un architetto che vuole
costruire quando nel 1970 (dopo un tirocinio con Jørn Utzon) fonda
a Roma uno studio (con Anna Maria Sacconi sino all'88) ha voluto dire operare
due tagli. Il primo con l'ambiente universitario della capitale, dal quale
dopo una fase di collaborazione si allontana. Il secondo con la generazione
degli architetti a lui coetanei - è nato nel 1944 - che centrava
l'attenzione sul momento della rappresentazione e del disegno (vedi Costruire
nn. 87, 131, 133).
Fuksas antiaccademico e costruttore
si lancia nel territorio dell'Italia centrale a caccia di occasioni, e
vi riesce.
Oltre alla ferma volontà
di realizzare, il suo combustibile è un rapporto stretto con l'arte;
da ragazzo è assistente di studio di Giorgio De Chirico e frequenta
il vivace mondo dei letterati e degli artisti dell'avanguardia.
La miscela arte più costruzione
determina lo sperimentalismo delle opere che realizza nel corso degli anni
Settanta: i cimiteri di Paliano e di Acuto, il palazzetto dello sport di
Sassocorvaro, la scuola materna di Tarquinia (dove trovano posto inserti
scultorei di Sebastian Matta ). Sono opere che usano elementi del repertorio
di quegli anni (le strutture a telaio del brutalismo, le grandi forme voltate,
alcuni rimandi alle neo-avanguardie degli anni Sessanta) ma i suoi lavori
non riprendono mai un sistema di coerenze altrui e sono tenuti insieme
da un interesse verso il collage, l'assemblaggio la commistione che semmai
lo avvicina a James Stirling. In questo contesto il trentenne architetto
scopre un punto fondamentale. "Le cose brutte sono brutte. Le cose molto
brutte a volte non sono più brutte". Se costruzione è necessità
imprescindibile e se l'architettura condivide con l'arte il suo statuto,
l'architetto non deve cercare il bello, il rassicurante, il già
visto. Insomma non deve avere paura del brutto, come non ne ha paura l'arte
stessa che al suo nascere (Michelangelo, Caravaggio, Manet) è sempre
negativa: dice No a quanto precede per affermare un modo diverso di conoscere.
Arte e architettura appartengono
per Fuksas a un'unica sfera. Come non pensare che questo caposaldo non
si travasi integralmente nella Biennale?.
Fuksas all'inizio degli anni
Ottanta progetta numerose nuove opere, spesso dure, sgradevoli. Sono lavori
censurati perché non in sintonia con le tendenze prevalenti in Italia
e che hanno spazio soltanto in poche pubblicazioni antologiche. Ma sono
opere importanti; come la palestra di Paliano (1979)1
in cui il collage si spinge all'inserimento sul fronte di una rampa che
detta l'inclinazione di una seconda facciata, o come la scuola elementare
di Civita Castellana (1983) dove su un basamento in pietra si erge un villaggio
di forme che si rincorrono l'una con l'altra, o come la scuola elementare
di Anagni (1979) in cui il principio dell collage si spinge anche nei momenti
successivi di edificazione, o nelle lunghe case a Paliano (1983) che richiamano,
fratturato e diviso in sezioni, un grattacielo coricato o un missile. In
questa fase che gioca spesso anche con inversioni della rappresentazione
(prospetti che diventano generatori di piante e viceversa) Fuksas crea
due opere in cui la sua carica sperimentale si sposa a nuove scoperte.
Il Cimitero di Orvieto (1984) è risolto attraverso un muro zigzagante
verso la valle che all'interno contiene i loculi e all'esterno diventa
bastione e fortificazione che si insinua nelle colline umbre. Il cimitero
di Civita Castellana (1985) si sviluppa attorno al motivo del viaggio della
vita e delle sue stazioni. Un grande recinto ovale con i loculi è
tagliato da un diametro-binario (che richiama la limitrofa ferrovia) su
cui si attestano gli oggetti (ossario, cappella, casa del guardiano) che
diventano presenze surreali.
In queste due opere prendono
corpo altrettante scoperte. La prima è che il processo di creazione
dell'architettura contemporanea è diventato metaforico. Un edificio
non è più valido solo se è funzionale, pulito, elegante
insomma se è una macchina, ma deve dire e dare anche di più.
Quando serve anche storie. Nel boom delle informazioni e dei messaggi della
società contemporanea si penetra con improvvise visioni che aprono
nuovi nessi e nuove possibilità. La seconda scoperta è che
la più grande fonte per questi messaggi metaforici è la ri-considerazione
dei rapporti tra uomo e natura. Non alla maniera del liberty-floreale,
né con la rassicurazione dell'organicismo nordico, ma attraverso
una architettura-natura viscerale. In cui la natura è anche
spaventosa, cavernosa, tellurica, inquieta e fa del frammentario, mutevole
e dinamico paesaggio contemporaneo il suo stesso oggetto.
Entrambi i temi si ritrovano
completamente maturi in molte opere successive. Come nel sistema di accesso
del Museo dei graffiti a Niaux (19882)
con due lame che si impennano e sembrano un taglio di Lucio Fontana nella
tela del cielo, o nel progetto Blue Lagoon (1989) ad Amburgo risolto con
una serie di blocchi levigati e affusolati come tante navi ancorate sul
porto.
Nel frattempo Fuksas opera un
vero e proprio salto di scala perché apre un secondo studio a Parigi,
vi risiede buona parte dell'anno e cavalca l'onda del successo dell'architettura
d'oltralpe iniziata nell'epoca di Mitterand.
Osteggiato in Italia, in Francia
è scoperto da Patrice Goulet e selezionato tra i dodici partecipanti
alla Biennale di Parigi del 1982 (con William Alsop, Jean Nouvel, Rem Koolhaas,
Toyo Ito, Arquitectonica e pochi altri). Sempre di più negli anni
successivi Fuksas basa il suo operare su un dato strutturante il mondo
di questi anni. Il mercato del lavoro è diventato internazionale
e se un architetto vuole veramente costruire l'Italia è diventato
il posto sbagliato nel momento sbagliato.
Cosicché il già
prolifico architetto romano degli anni Settanta e dei primi Ottanta, nel
fervido clima francese ed europeo esplode e in questo decennio porta a
compimento moltissime opere. Per esempio realizza una serie di interventi
nel Candie-Saint Bernard a Parigi dove crea alloggi, impianti sportivi,
negozi, uffici e dà forma a un suo importante pezzo di città
multiforme, violenta, collagista che in Italia era riuscito solo parzialmente
a realizzare nella sede comunale di Cassino (1985). A Bordeaux completa
nel 1995 una Casa delle arti. L'idea è quella dell'edificio-scatola:
lungo, sdraiato, tagliato a metà da un'asola che lo disossa, e in
verticale da due portali che lo attraversano da parte a parte, la scatola
solida esalta la città che in trasparenza è risucchiata nell'immagine.
Nello stesso anno a Herouville Saint Clair completa una residenza universitaria
che è un edificio poligonale, staccato da terra, con una strada
carrabile che lo attraversa. Il tema del vuoto come generatore della forma
e delle relazioni degli spazi è il motore delle scelte.
La ricerca di una decisa idea-forza
muove tante altre opere come il Collegio Saint-Exupéry (1993) in
cui un percorso rampa si insinua avvolgente dentro un sistema di fabbricati
perimetrali, o come la riabilitazione a Limoges (1995) di una facoltà
universitaria che vede l'inserimento di una aula-ampolla che fuoriesce
dal curtain-wall e invade la strada o come nel grande centro commerciale
Europark a Salisburgo (1997) concepito come una serie di fotogrammi cinematografici
in un continuo rincorrersi di eventi che invade l'esterno e rompe la scatolarità
amorfa e la chiusura alla città spesso abituale in queste tipologie.
Insomma a Fuksas non interessa
lo stile. Crede che ciascun tema esiga una risposta che imponga una porzione
di conoscenza con un atto sintetico di ispirazione. Se stile e linguaggio
non sono più il centro, se la contaminazione è la tecnica
di base, se la paura del brutto è rimossa, se la conoscenza avviene
come per l'arte con l'ispirazione (arte è risolvere problemi che
prima non potevano essere neanche riconosciuti come tali) deriva come quasi
naturale conseguenza una sua arma in più. La sua capacità
nello stabilire un rapporto organico e di reale collaborazione con altri
artisti e architetti.
Per esempio, invitato a ideare
la Torre Geindre in Francia la divide in pezzi ciascuno disegnato da Steidle,
Alsop, Nouvel. Il risultato è una architettura alla Fuksas fatta
però da quattro persone, ed è veramente un'immagine efficace
e una strada aperta al fare nuova architettura. Ma la stessa tecnica è
messa in atto nella costruzione della Piazza delle nazioni di Ginevra dove,
vincitore dell'importante concorso con un progetto che è un momento
di sintesi del suo intero lavoro (un paesaggio frammentario e modernssimo
in cui gli edifici si confrontano con un trattamento del suolo che ha l'acqua
protagonista), può inserire felicemente gli edifici di Peter Eisenman
e di François Perrault nell'insieme. La ragione è che Fuksas
ha compreso sino in fondo che il lavoro dell'architetto, in particolare
quando l'oggetto è la città, deve essere strutturalmente
polifonico, avere la capacità di inglobare segni diversi.
Dunque torniamo alla scelta del
suo nome quale nuovo direttore del settore architettura della Biennale.
Se i punti qualificanti il suo lavoro sono che arte e architettura appartengono
a un'unica sfera, che il processo di creazione dell'architettura è
anche metaforico, che la più potente metafora di oggi è quella
della natura, che il mercato del lavoro è internazionale, che gli
stessi programmi e le occasioni concrete sono cambiate, che infine l'architettura
è contaminazione e quindi aperta e polifonica, abbiamo in mano le
linee fondamentali della sua Biennale.
Ma come strutturare la grande
manifestazione in maniera che sia congruente a queste idee e quindi capace
di dare una scossa di vitalità ?
"Siamo in un momento positivo,
mi dice ma siamo anche in una situazione di chiusura, di egemonia. In un
sistema internazionale tanto più globalizzato quanto più
di regime." L'unico modo per "scappare da questo sistema di potere è
aprendolo: il massimo di apertura e il minimo di chiusura". L'idea è
allora di creare una esposizione permanente e virtuale attivando a partire
da gennaio un sito Internet (per informazioni http://www.labiennale.com/
)
in cui architetti e artisti anche dal punto più lontano del globo
possano esporre le loro idee e le loro proposte. "Qualunque cosa, anche
un testo, un'idea un progetto". La fase di raccolta delle idee, la ricerca
di nuove forze e vitalità riaprirà così il processo,
anzi il processo stesso sarà l'evento.
"Bisogna diminuire la componente
puramente estetica a favore di quella etica". Far capire che esistono contenuti,
problemi e che l'architetto è parte di un processo generale e che
può "comunicare quello che sta avvenendo nella società"
Nell'ottobre del 1999 a commento
e dibattito dell'esposizione virtuale, vi sarà un forum-congresso
in preparazione per la grande mostra dell'estate del 2000. Il tema non
potrà non essere la città. E quella di Fuksas cominciamo
a immaginarla.
Antonino Saggio
Alcune opere in illustrazione
Il cimitero di Orvieto
Il cimitero di Civita Castellana
Museo dei graffiti a Niaux
Candie-Saint Bernard a Parigi
Torre Geindre a Hérouville-Saint-Clair
Piazza delle nazioni a Ginevra
Casa delle arti a Bordeaux
EuroPark a Salisburgo
Centro Congressi a Roma
Ritratto