Massimiliano Fuksas. Architetura è Costruire.
(Le città di Fuksas. Per "Costruire" gennaio 1999)

di Antonino Saggio


Massimiliano Fuksas, oggi cinquantenne, è stato tenuto nascosto all'intera cultura architettonica italiana con l'antica tecnica del silenzio. Prima perché giovane eccentrico ed eversivo poi, quando le opere che andava realizzando all'estero parlavano da sole, è stato visto come uno scomodo estraneo. Per il prossimo triennio, con una scelta coraggiosa e promettente, è stato nominato dal presidente Paolo Baratta direttore della sezione architettura della Biennale di Venezia. Succede a Vittorio Gregotti, Paolo Portoghesi, Aldo Rossi, Francesco Dal Co e Hans Hollein. Come sarà la sua Biennale è domanda che in molti si pongono. E la risposta più fondata non può che partire da quello che Fuksas pensa e pratica da un trentennio.

Fuksas ha posto al centro della sua attività il credo "architettura è costruire" e ha portato avanti questa convinzione con l'energia che il cognome spigoloso e irruente del padre lituano lascia presagire.
Essere un architetto che vuole costruire quando nel 1970 (dopo un tirocinio con Jørn Utzon) fonda a Roma uno studio (con Anna Maria Sacconi sino all'88) ha voluto dire operare due tagli. Il primo con l'ambiente universitario della capitale, dal quale dopo una fase di collaborazione si allontana. Il secondo con la generazione degli architetti a lui coetanei - è nato nel 1944 - che centrava l'attenzione sul momento della rappresentazione e del disegno (vedi Costruire nn. 87, 131, 133).
Fuksas antiaccademico e costruttore si lancia nel territorio dell'Italia centrale a caccia di occasioni, e vi riesce.
Oltre alla ferma volontà di realizzare, il suo combustibile è un rapporto stretto con l'arte; da ragazzo è assistente di studio di Giorgio De Chirico e frequenta il vivace mondo dei letterati e degli artisti dell'avanguardia.
La miscela arte più costruzione determina lo sperimentalismo delle opere che realizza nel corso degli anni Settanta: i cimiteri di Paliano e di Acuto, il palazzetto dello sport di Sassocorvaro, la scuola materna di Tarquinia (dove trovano posto inserti scultorei di Sebastian Matta ). Sono opere che usano elementi del repertorio di quegli anni (le strutture a telaio del brutalismo, le grandi forme voltate, alcuni rimandi alle neo-avanguardie degli anni Sessanta) ma i suoi lavori non riprendono mai un sistema di coerenze altrui e sono tenuti insieme da un interesse verso il collage, l'assemblaggio la commistione che semmai lo avvicina a James Stirling. In questo contesto il trentenne architetto scopre un punto fondamentale. "Le cose brutte sono brutte. Le cose molto brutte a volte non sono più brutte". Se costruzione è necessità imprescindibile e se l'architettura condivide con l'arte il suo statuto, l'architetto non deve cercare il bello, il rassicurante, il già visto. Insomma non deve avere paura del brutto, come non ne ha paura l'arte stessa che al suo nascere (Michelangelo, Caravaggio, Manet) è sempre negativa: dice No a quanto precede per affermare un modo diverso di conoscere.
Arte e architettura appartengono per Fuksas a un'unica sfera. Come non pensare che questo caposaldo non si travasi integralmente nella Biennale?.

Fuksas all'inizio degli anni Ottanta progetta numerose nuove opere, spesso dure, sgradevoli. Sono lavori censurati perché non in sintonia con le tendenze prevalenti in Italia e che hanno spazio soltanto in poche pubblicazioni antologiche. Ma sono opere importanti; come la palestra di Paliano (1979)1 in cui il collage si spinge all'inserimento sul fronte di una rampa che detta l'inclinazione di una seconda facciata, o come la scuola elementare di Civita Castellana (1983) dove su un basamento in pietra si erge un villaggio di forme che si rincorrono l'una con l'altra, o come la scuola elementare di Anagni (1979) in cui il principio dell collage si spinge anche nei momenti successivi di edificazione, o nelle lunghe case a Paliano (1983) che richiamano, fratturato e diviso in sezioni, un grattacielo coricato o un missile. In questa fase che gioca spesso anche con inversioni della rappresentazione (prospetti che diventano generatori di piante e viceversa) Fuksas crea due opere in cui la sua carica sperimentale si sposa a nuove scoperte. Il Cimitero di Orvieto (1984) è risolto attraverso un muro zigzagante verso la valle che all'interno contiene i loculi e all'esterno diventa bastione e fortificazione che si insinua nelle colline umbre. Il cimitero di Civita Castellana (1985) si sviluppa attorno al motivo del viaggio della vita e delle sue stazioni. Un grande recinto ovale con i loculi è tagliato da un diametro-binario (che richiama la limitrofa ferrovia) su cui si attestano gli oggetti (ossario, cappella, casa del guardiano) che diventano presenze surreali.
In queste due opere prendono corpo altrettante scoperte. La prima è che il processo di creazione dell'architettura contemporanea è diventato metaforico. Un edificio non è più valido solo se è funzionale, pulito, elegante insomma se è una macchina, ma deve dire e dare anche di più. Quando serve anche storie. Nel boom delle informazioni e dei messaggi della società contemporanea si penetra con improvvise visioni che aprono nuovi nessi e nuove possibilità. La seconda scoperta è che la più grande fonte per questi messaggi metaforici è la ri-considerazione dei rapporti tra uomo e natura. Non alla maniera del liberty-floreale, né con la rassicurazione dell'organicismo nordico, ma attraverso una architettura-natura viscerale. In cui la natura è anche spaventosa, cavernosa, tellurica, inquieta e fa del frammentario, mutevole e dinamico paesaggio contemporaneo il suo stesso oggetto.
Entrambi i temi si ritrovano completamente maturi in molte opere successive. Come nel sistema di accesso del Museo dei graffiti a Niaux (19882) con due lame che si impennano e sembrano un taglio di Lucio Fontana nella tela del cielo, o nel progetto Blue Lagoon (1989) ad Amburgo risolto con una serie di blocchi levigati e affusolati come tante navi ancorate sul porto.
Nel frattempo Fuksas opera un vero e proprio salto di scala perché apre un secondo studio a Parigi, vi risiede buona parte dell'anno e cavalca l'onda del successo dell'architettura d'oltralpe iniziata nell'epoca di Mitterand.
Osteggiato in Italia, in Francia è scoperto da Patrice Goulet e selezionato tra i dodici partecipanti alla Biennale di Parigi del 1982 (con William Alsop, Jean Nouvel, Rem Koolhaas, Toyo Ito, Arquitectonica e pochi altri). Sempre di più negli anni successivi Fuksas basa il suo operare su un dato strutturante il mondo di questi anni. Il mercato del lavoro è diventato internazionale e se un architetto vuole veramente costruire l'Italia è diventato il posto sbagliato nel momento sbagliato.
Cosicché il già prolifico architetto romano degli anni Settanta e dei primi Ottanta, nel fervido clima francese ed europeo esplode e in questo decennio porta a compimento moltissime opere. Per esempio realizza una serie di interventi nel Candie-Saint Bernard a Parigi dove crea alloggi, impianti sportivi, negozi, uffici e dà forma a un suo importante pezzo di città multiforme, violenta, collagista che in Italia era riuscito solo parzialmente a realizzare nella sede comunale di Cassino (1985). A Bordeaux completa nel 1995 una Casa delle arti. L'idea è quella dell'edificio-scatola: lungo, sdraiato, tagliato a metà da un'asola che lo disossa, e in verticale da due portali che lo attraversano da parte a parte, la scatola solida esalta la città che in trasparenza è risucchiata nell'immagine. Nello stesso anno a Herouville Saint Clair completa una residenza universitaria che è un edificio poligonale, staccato da terra, con una strada carrabile che lo attraversa. Il tema del vuoto come generatore della forma e delle relazioni degli spazi è il motore delle scelte.
La ricerca di una decisa idea-forza muove tante altre opere come il Collegio Saint-Exupéry (1993) in cui un percorso rampa si insinua avvolgente dentro un sistema di fabbricati perimetrali, o come la riabilitazione a Limoges (1995) di una facoltà universitaria che vede l'inserimento di una aula-ampolla che fuoriesce dal curtain-wall e invade la strada o come nel grande centro commerciale Europark a Salisburgo (1997) concepito come una serie di fotogrammi cinematografici in un continuo rincorrersi di eventi che invade l'esterno e rompe la scatolarità amorfa e la chiusura alla città spesso abituale in queste tipologie.
Insomma a Fuksas non interessa lo stile. Crede che ciascun tema esiga una risposta che imponga una porzione di conoscenza con un atto sintetico di ispirazione. Se stile e linguaggio non sono più il centro, se la contaminazione è la tecnica di base, se la paura del brutto è rimossa, se la conoscenza avviene come per l'arte con l'ispirazione (arte è risolvere problemi che prima non potevano essere neanche riconosciuti come tali) deriva come quasi naturale conseguenza una sua arma in più. La sua capacità nello stabilire un rapporto organico e di reale collaborazione con altri artisti e architetti.
Per esempio, invitato a ideare la Torre Geindre in Francia la divide in pezzi ciascuno disegnato da Steidle, Alsop, Nouvel. Il risultato è una architettura alla Fuksas fatta però da quattro persone, ed è veramente un'immagine efficace e una strada aperta al fare nuova architettura. Ma la stessa tecnica è messa in atto nella costruzione della Piazza delle nazioni di Ginevra dove, vincitore dell'importante concorso con un progetto che è un momento di sintesi del suo intero lavoro (un paesaggio frammentario e modernssimo in cui gli edifici si confrontano con un trattamento del suolo che ha l'acqua protagonista), può inserire felicemente gli edifici di Peter Eisenman e di François Perrault nell'insieme. La ragione è che Fuksas ha compreso sino in fondo che il lavoro dell'architetto, in particolare quando l'oggetto è la città, deve essere strutturalmente polifonico, avere la capacità di inglobare segni diversi.

Dunque torniamo alla scelta del suo nome quale nuovo direttore del settore architettura della Biennale. Se i punti qualificanti il suo lavoro sono che arte e architettura appartengono a un'unica sfera, che il processo di creazione dell'architettura è anche metaforico, che la più potente metafora di oggi è quella della natura, che il mercato del lavoro è internazionale, che gli stessi programmi e le occasioni concrete sono cambiate, che infine l'architettura è contaminazione e quindi aperta e polifonica, abbiamo in mano le linee fondamentali della sua Biennale.
Ma come strutturare la grande manifestazione in maniera che sia congruente a queste idee e quindi capace di dare una scossa di vitalità ?
"Siamo in un momento positivo, mi dice ma siamo anche in una situazione di chiusura, di egemonia. In un sistema internazionale tanto più globalizzato quanto più di regime." L'unico modo per "scappare da questo sistema di potere è aprendolo: il massimo di apertura e il minimo di chiusura". L'idea è allora di creare una esposizione permanente e virtuale attivando a partire da gennaio un sito Internet (per informazioni http://www.labiennale.com/ ) in cui architetti e artisti anche dal punto più lontano del globo possano esporre le loro idee e le loro proposte. "Qualunque cosa, anche un testo, un'idea un progetto". La fase di raccolta delle idee, la ricerca di nuove forze e vitalità riaprirà così il processo, anzi il processo stesso sarà l'evento.
"Bisogna diminuire la componente puramente estetica a favore di quella etica". Far capire che esistono contenuti, problemi e che l'architetto è parte di un processo generale e che può "comunicare quello che sta avvenendo nella società"
Nell'ottobre del 1999 a commento e dibattito dell'esposizione virtuale, vi sarà un forum-congresso in preparazione per la grande mostra dell'estate del 2000. Il tema non potrà non essere la città. E quella di Fuksas cominciamo a immaginarla.
Antonino Saggio

Alcune opere in illustrazione
Il cimitero di Orvieto
Il cimitero di Civita Castellana
Museo dei graffiti a Niaux
Candie-Saint Bernard a Parigi
Torre Geindre a Hérouville-Saint-Clair
Piazza delle nazioni a Ginevra
Casa delle arti a Bordeaux
EuroPark a Salisburgo
Centro Congressi a Roma
Ritratto